lunedì 20 febbraio 2017

Raimondo Lentini - IL FEUDO DI "DONNA" DI RIBERA

IL FEUDO DI "DONNA" DI RIBERA

DONNA SUPERIORE ED INFERIORE (Suprana e Suttana)

di Raimondo Lentini

Apparentemente l’etimologia del nome di “Donna” potrebbe sembrare che abbia origine da “femmina”, invece non è così. Molte zone della Sicilia portano questo nome, fra le più note citiamo Donnafugata, e devono il loro nome molto probabilmente alla radice araba “Ayn” (siciliano “aina”) che vuol dire “fonte, sorgente, fontana”, la prefissione “d” corrisponde all’articolo arabo “al”. Poco probabile sembra la radice greca “dona” che significa “canna, luogo pieno di canne”.
«Il sostantivo ‘ayn (fonte, sorgente) costituisce il primo elemento di numerosi toponimi, il cui adattamento, grafico e fonetico, in greco e in latino o in volgare è a volte così poco fedele da rendere incerta l'identificazione del secondo elemento. Spesso, nel corso dei secoli ‘ayn s'é mutato in Donna, Gian, Amma... Es.: Donnarumma cioè Fonte del greco (Áyn ar rūmī)». (V. Blunda, Supposte origini dei cognomi in Sicilia).
Insieme al feudo di Strasatto questi due feudi si trovano sulla riva sinistra del fiume Magazzolo, ma appartenevano ugualmente in uno col non più esistente feudo omonimo del detto fiume, alla baronia di Misilcassim per cui ne seguono le vicende storiche.
Mentre, per quanto riguarda il secolo scorso, sappiamo dal Farina (G. Farina, Ribera e il suo territorio, Palermo 1979) che con atto pubblico dell’11-3-1880, rogato notar Lionti Scagliosi di Palermo, i fratelli Parlapiano di Ribera, acquistavano i feudi Donna Inferiore, Donna Superiore e Ferraria.

Ribera mappa territorio dal Catasto Borbonico. Il feudo della Donna è segnato con la lettera O

La contrada Porta Farina


Se di solito i feudi devono i loro nomi a radici arabe, greche, latine, ecc., le contrade e le sottocontrade lo devono alla morfologia del terreno, a eventi come omicidi, e anche a nomi di antichi proprietari, ed altro. Nel nostro caso ad esempio Porta Farina, che è una contrada di Donna inferiore, lo si deve nella prima parte del nome “Porta” (in altri luoghi della Sicilia troviamo anche “Purtedda”) significa “gola” o “passaggio” in questo caso tra due monti ovvero colline, quindi sta per “valico”. Il secondo nome “farina” sembrerebbe che da quel luogo passassero dei carri con della farina, ma non riscontriamo nei paraggi nessun mulino o strada in cui spesso poteva passare tale alimento; si può pensare quindi che stia meglio il cognome “Farina”.
Infatti da atti notarili risalenti al XVII secolo ci pervengono notizie su una concessione a terraggio ad certo Pietro Farina di un appezzamento di terreno nel feudo della Donna inferiore (suttana) denominato allora  “quartu dilla Fossa” (Archivio di Stato di Sciacca, fondo notarile, not. Vincenzo Scoma, vol. 1851 del 20.10.1646). 
Il terraggio (o terratico) era il canone dovuto, per la concessione in subaffitto, generalmente da parte di Borgesi, di una chiusa del patrimonio comunale, statale o baronale, per seminarvi o condurvi al pascolo. (vedi: Oddo F. L., Dizionario di antiche istituzioni siciliane, Palermo 1983)

Il relativo atto notarile di terraggio venne stipulato 20 ottobre 1646 tra il dottore in medicina Luigi Spadaro, nella qualità di Secreto di Caltabellotta a nome e per conto di don Luigi de Los Cameros, giudice della Regia Monarchia e deputato degli stati del principe di Paternò (Luigi Guglielmo Moncada) con diverse persone tra cui il nostro Pietro Farina. Tra queste persone ricordiamo: Vincenzo Noto (quartu Zimbi), Vincenzo Noto (quartu dilla Gincaria), Francesco Ferrante (quartu Zimbi), Giuseppe Crapanzano di Antonio (quartu Cuccia), Vincenzo Montalbano (quartu dilla Beveratura), Giacomo Augello (quartu di Gagliardu), Pietro Cosenza (quartu dilla Gincaria), Francesco Tornambè (quartu di Giummarazzi), Accursio Tornambè (quartu dilla Trazzera).
Questi era un pastore di Caltabellotta figlio di Paolo (di Pietro) e Antonina Parlapiano. Probabilmente in anni precedenti il terreno era stato concesso al padre e al nonno. All’epoca della concessione Ribera esisteva da dieci anni, ma lui non vi si stabilì con la famiglia, si era infatti sposato nel 1639 con Grazia Vetrano fu Marco e Luigia (atto di dote il 17.7.1639 in not. Giuseppe Celino, vol. 2080). Abbiamo invece la concessione di una casa a Ribera nel 1636 a certo Gregorio Farina, ma non ebbe discendenti tanto che tale cognome non risulta essere presente nel nostro comune fino alla fine dell’800.
Nel Rivelo di Caltabellotta del 1652 (i Riveli delle anime e dei beni erano una sorta di censimento e dichiarazione dei redditi di allora) Pietro Farina dichiara di avere quaranta anni e di possedere una giumenta e settanta pecore e che la sua famiglie era così composta: la moglie Grazia e due figli maschi, Paolo di dieci anni e Antonino di due.
Verosimilmente Pietro Farina, come gli altri pastori che avevano a terraggio appezzamenti così lontani da Caltabellotta, per poter portare a pascolo gli animali dovevano costruire dei rifugi per se stessi e gli ovili per le pecore ed abitare gran parte dell’anno in questi terreni.

Le altre contrade più importanti


Pizzu Corvu (Donna inf.): Dal gr. Koros = Corvo. Cima del Corvo e burrone del Corvo.
Monte Firriu (Donna inf.): Dal lat. Virare = voltare, girare. Dalla forma del monte.
Giummarrazzu (Donna inf.): In questo territorio crescevano in gran quantità le “giummarre” palme nane.
Mangiatureddi (Donna inf.): Dim. di “Mangiatura”. Dal lat. Manducare = mangiare. Piccole mangiatoie per ovini.
Mannarazzi (Donna sup.): Dal gr. Mándra = mandria, dispr.. Complesso di spazi delimitati con costruzioni rustiche in cui si svolge l’attività pastorale.
Cozzu Salaru (Donna inf.): Dal lat. Salarius = pertinente al sale. Il luogo è ricco di sale e si ha notizia di una raffineria.
Monte Serralonga (Donna inf.,): Dal lat. Serrare = segare. Voce molto diffusa in tutta l’Isola che indica non solo le creste seghettate, ma anche monti che non presentano la regione culminante con i caratteri di sega.
Feudo Donna carta XIX secolo (Particolare - Collezione privata)










APPENDICE ALL'ARTICOLO

Da: Sicania, 1.8.1914, Anno II, n. 8(14), pagg. 290 e ss.

LE LOCALITÀ COL "DON"

di Giuseppe Maria Calvaruso


All’illustre Dott. S. Salomone-Marino.
Parrebbe a prima giunta che le località col nome preceduto da don o donna, dovessero avere un'origine più nobile di quella, delle altre, perché appunto il don e il suo femmenile donna, derivati dal latino dominus «signore» e domina «signora», nei tempi passati si davano esclusivamente ai membri delle famiglie principesche. Qui invece si tratta di tutt’altro e sembra anzi che don, nella parlata popolare mutato in dan, e nei documenti diplomatici in dain, abbia una stretta relazione con l’arabo ‘ayn «sorgente» «polla d’acqua», «corso d’acqua», al plurale a'yon o ’oyûn; e di fatto tutte le località col don sono provviste più o meno d’acqua.
Passiamone in rassegna qualcuna:
1. Donna — Gorgo a capo del fiume dell’Arena o di Delia, sotto Salemi (Amico — Dizionario topografico di Sicilia). Chi non vi riconosce l'arabo ‘ayn «sorgente d’acqua» o meglio il suo plurale a’yon, col prefisso d, che, secondo l’Avolio, dà una maggiore consistenza al suono vocalico della iniziale e, secondo me, spiega uno dei tanti fatti di etimologia popolare? Come potrebbe giustificarsi la voce donna attribuita da sola ad un gorgo fluviale?
Chi fu mai questa donna?
2. Donnastùri — Nella storia popolare della Baronessa di Carini, amorosamente raccolta dall’illustre Dott. S. Salomone-Marino, questa località, piuttosto alta, posta a guisa di sella tra il versante di Carini e quello di Montelepre e coltivata un tempo a cannamele, ò designata col nome di Dain Asturi o di Daina-stùri (pagg. 67-77-107-201) e di Donnastùri (pag. 288) ed è una possessione in territorio di Montelepre, compresa nello stato di Carini, e proprietà e titolo fin quasi ai nostri giorni della famiglia Vernagallo. Mi scrive il Sig. Terranova, titolare postale di Carini, che il popolo carinese pronunzia questo nome Dannastùri, che questa terra, in parte piuttosto elevata, accessibile ed ora coperta di vigneti ed oliveti, dista da Carini circa 14 Km. e che un tempo apparteneva al Barone Vernagallo ed oggi al Duca d'Orleans, perché inclusa nella contrada dello Zucco; però non vi si rinviene nessuna sorgente. Invece il Cav. Prof. Pietro Barcellona Passalacqua, autore delle Tre Hyccari, facendo la distanza da Carini di circa Km. 12 per le scorciatoie e di quasi Km. 20 per la via rotabile, afferma che in Don Astùri o Dain Astùri esistono delle piccole polle d’acqua insignificanti, talune delle quali in qualche affossamento; però una, la Frattinella, al limitare del fondo, ha una certa importanza. E soggiunge: «Il popolo non sa mai nulla, dice quello che sente dire; e il feudo s’intitola Don Astùri, perché appartenne ad uno dei Vernagallo chiamato Astore ed i Vernagallo sulla piana di Carini, a 6 Km. dal paese, hanno ancora un possedimento».
Ma geneologicamente esistette questo Don Astore? No. E che cosa fece di rilevante a quella terra sì da lasciarvi il proprio nome? Nulla ne dice la storia municipale e la leggenda. Capirei che essa fosse chiamata piuttosto Barone Vernagallo, a similitudine delle contrade di P.pe Calati, di Barone Pasqualino, di Notar Mario.... ma non capisco affatto che debba portare il nome di Don Astùri, il quale non è mai esistito nella famiglia che per tanti secoli la possedette. Capisco invece che le sorgenti d’acqua ci sono a Dain Astùri, come dichiara in modo reciso il Dottore Salomone-Marino, e più estese e più ricche dovettero essere in antico per la soprastante montagna, un tempo boschiva ed ora diboscata, di cui fa fede la antica coltura delle cannamele. Ed io forte di questa particolarità topografica, dell’esistenza, cioè, delle sorgenti d’acqua, inclino a dare al nome la etimologia araba: ‘ayn «sorgente» e astûruh «più coperta», «più nascosta», «più invisibile». Talché il popolo ha inteso questo nome dagli Arabi e per tanti secoli, fino a noi, l’ha ripetuto tenacemente, invariabilmente, trasformando in dannu o donna le voci ‘ayn o a'yon, che per esso non avevano nessun significato. Intanto la forma Dain si conserva nelle scritture e ciò tradisce in modo chiaro l’origine araba.
3. Donnàuta — Sorgente dell’Imera meridionale, alle radici occidentali dei Nebrodi, mentovata dal Fazello e dall’Amico col nome di Donna Alta. Potrebbe trattarsi con tutta probabilità del1’ arabo ‘ayn «sorgente» od a'yon «sorgenti» e 'audah «vecchia», «antica» dovendosi scartare, per le ragioni precedenti, che sia appartenuta ad una donna alta di statura o di lignaggio.
4. Donna Biatrìci — Feudo un tempo posseduto dai Palazzo-Dara, distante circa 4 Km. da Corleone e attraversato dal fiume Arangi e dalla ferrovia, di cui vi è una fermata. Il mio amico F. P. Crescimanni, vecchio impiegato a riposo, nativo da Corleone, crede, come altri, che la denominazione di Donna Beatrice sia originata dal fatto che quella terra un tempo fosse il feudo di una castellana così chiamata, appunto come l’altra di Donna Giacoma.
Ma chi furono questa Donna Beatrice e questa Donna Giacoma? Qui tacciono la storia paesana e le tradizioni del luogo; qui si brancola nel buio. È innegabile che la prima parte di Donna Beatrice è sempre l’arabo ‘ayn, plur. a'yon, mentre l’altra parte potrebbe essere l’arabo bettadrîgi «per scaglioni», «per scalini» forse perché la sorgente, che ora è scomparsa è che doveva pullularvi, si gettava nel vicino fiume per un terreno degradante.
5. Donna Giacuma — È un ex feudo in territorio pure di Corleone, sui monti sovrastanti a questo comune e da esso distante circa 9 Km; oggi è posseduto dai Mangiameli ed un tempo si apparteneva al soppresso Monastero di S. Maria Maddalena. Scartando la molto invocata castellana di egual nome, assegnerei alla prima parte l’arabo ‘ayn o a'yon, «sorgenti» pei tre abbondantissimi abbeveratoi ivi esistenti, mentre vorrei avvicinare la seconda parte all’arabo zakkîmah «violenta», «veemente» forse per la veemenza o violenza con cui vien fuori ancora l’acqua dalle tre sorgenti.
6. Donnafucàta o Donna affucàta — In italiano è detta questa località Donnafugàta ed è una terricciola presso S. Croce di Camerina, comune di Ragusa, provincia di Siracusa. Il Sig. Palmeri, ricevitore di quell’ufficio postale, ad una mia lettera gentilmente risponde: «Il feudo di Donnafugàta appartiene da quattro secoli ai Baroni di Donnafugata, di cui il penultimo fu senatore del regno. L’attuale proprietaria è una sua nipote, la Viscontessa Lestrade, Baronessa di Donnafugata.
Il nome del feudo non proviene da una fontana, ma dalla storia o leggenda della regina Bianca, che ivi venne a rifugiarsi, salvandosi dalle male voglie di Bernardo Cabrera. Vi esiste, è vero, una sorgente; ma non ha né storia, né importanza ed esce dal suolo, d'infra le rocce, ad un’altitudine di circa 300 metri, senza alcun fenomeno straordinario.»
Ma nella Somma della Storia di Sicilia di Nicolò Paimeri si legge a pag. 355, a proposito della bella e giovine vedova di Martino II: «La regina (Bianca) non tenendosi sicura in alcuna delle città che avevano riconosciuto l'autorità del conte di Modica (Bernardo Caprera) erasi ritratta in Siracusa, città a lei soggetta; ma venne fatto a quel conte di sorprendere la città, farsene padrone ed assediare strettamente la regina ch’erasi chiusa in uno dei castelli, tanto che era essa per cadere nelle mani di lui. Ma avutane compassione Giovanni Moncada, venne in soccorso di lei e tanto fece che il conte fu cacciato dalla città e volto in fuga.»
Dunque la regina Bianca, se fu in un castello di Siracusa, non si rifugiò mai a Donnafugata, e quella che si racconta fra le persone colte del paese è tutta un’invenzione innestata sopra un fatto storico; com’è pure un’invenzione la voce che corre fra le persone incolte, cioè, che quel nome proviene da una donna strozzata, in siciliano affucata, non si sa da chi, per quale ragione, in quale tempo e luogo preciso, quantunque qualcuno mostri a giustificazione di ciò una croce di legno fuori del paese, che si crede il ricordo dello strozzamento e secondo me il segno usato nel contado per indicare una vicina riunione di fedeli, una chiesa prossima.
La prima parte invece è l'arabo ‘ayn o a'yon, per la sorgente che vi scaturisce, mentre la seconda parte potrebbe interpretarsi con l’arabo fûqat «superiore», fâqat «miseria» o fî uaqti «nel cavo della roccia.»
7. Donnaliggi — È un ex feudo al bivio fra Polizzi e Castellana. Il Cav. Giuseppe Collisani, da Petralia Sottana, che ha le maggiori possessioni in questa località, diversi mesi addietro mi scriveva: «Donalegge si apparteneva una volta ai marchesi Inguaggiato. L’esteso fabbricato, ora trasformato in una cinquantina di case coloniche, ed in alto la casa, che serviva di abitazione ai proprietari dell’epoca, lasciano anche ora intravedere la signorilità e grandezza degli antichi possessori. Esiste una sorgente d'acqua superficiale, che va ad immettersi per mezzo di una conduttura in un grande abbeveratoio. La località poi si chiama Donalegge, perché era la dimora preferita del marchese Inguaggiato ed era quindi il posto da dove partivano gli ordini per le altre, e non poche, fattorie e possessioni in Sicilia dello stesso marchese. Il popolo, sicilianizzando Donalegge, chiama la località Donnaliggi
A me invece sembra il contrario, cioè, che le persone colte, italianizzando il siciliano Donnaliggi, abbiano fatto Donalegge e Donnalegge e che la forma siciliana nella prima parte abbia una perfetta corrispondenza coi nomi topografici qui esaminati, perché vi si trova la costante voce donna.
Questa voce è appunto l’arabo ‘ayn, plur. a‘yon, e la seconda parte potrebbe ridursi all’arabo lagiâ «asilo», «rifugio», od al-augiah «la più bella», «la più evidente» o meglio al-uagîh «del principe», «del notabile», «del capo».
8. Donnalisa. — Contrada nel territorio di Carini, fornita d’acqua. Mentre la prima parte è l’arabo a'yon «sorgenti» la seconda potrebbe ricondursi a lîs, plur. di laysâ «lenta», «tarda».
9. Donnalucàta — Sorgente d’acqua presso Scicli, ora scomparsa, che pullulava su la spiaggia fra le foci del fiume di Ragusa e di quello di Modica. L’Arezio, che la chiamò Annalucata, opinava che essa prendesse il nome dalla pietra agata, mentre il Fazello ed il Massa la credettero voce saracinesca e la scrissero Aynlucata. Edrîsi e Al-‘Umarî, che la posero vicino a Scicli, la scrissero Ayn al-auqât e dissero che, fenomeno singolare, l’acqua vi sgorgava nelle ore della preghiera musulmana (cinque in un giorno) e smetteva nelle altre.
L’Amari affermò che una fonte di egual nome è sui monti di Gigel al meridiano di Porto Sebila. Il Macri non fece che ripetere la descrizione dei testi arabi; il Tardia diede per etimi a’yn «fonte» e uaqt «ora» e l’Avolio si attenne all’Edrîsi e all’Umarî dando la stessa spiegazione della intermittenza. Io non saprei che confermare tale etimologia se, come fu opinione generale, le acque della sorgente si mostravano solo in cinque ore del giorno, quante appunto sono le ore della preghiera musulmana, essendo al-auqâti plurale di al-uaqti e significando «delle ore».
10. Donna Pirrotta — Contrada irrigua nel territorio di Carini. Anziché da una molto discutibile proprietaria di questo nome, potrebbe provenire dall'arabo ‘ayn «sorgente» e barûdah «fresca», «fredda» essendo fresche le acque che sgorgano in tale località.
Così che a queste e ad altre località col don potrebbe rivolgersi la canzone popolare che si legge nei canti siciliani raccolti dal Pitrè (N. 290 — pag. 294):
Tô patri è un aciddazzu senza pinni,
tô matri lavannara di tant’anni;
perciò ssu Ddo’ a tia dunni ti vinni?
di Terranova o di Castrugiuvanni?


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