mercoledì 10 giugno 2015

LILLO MILIANO NEL RICORDO DI RAIMONDO LENTINI


Da un po di tempo che penso di scrivere qualcosa su un amico di gioventù scomparso prematuramente e che quest’anno si ricordano i 20 anni dalla morte. Questo amico è Lillo Miliano che ho conosciuto negli anni ’70.

Per raccontare di lui devo premettere che io sono venuto a Ribera proveniente da Favara nel luglio del 1969 all’età di dieci anni. Sono rimasto orfano a tre anni e per motivi gravi di famiglia, ci siamo trasferiti con mia madre e mio fratello in via Quartararo (INA CASA) e nello stabile dove abitava Antonio Corda, un altro amico d’infanzia morto pure prematuramente, anche lui orfano di padre che abitava con la madre e la sorella. Lui e Lillo Vaccaro sono stati i primi amici con cui giocavo a Ribera e che mi hanno introdotto nella vita sociale, o meglio della strada.
Lillo Miliano era cugino di Antonio Corda e così ebbi modo di conoscerlo, ma abitava in un altro quartiere e non frequentavamo la stessa scuola, ma il problema maggiore era la disciplina che vigeva in casa sua. Lillo Miliano era nato a Ribera il 19 giugno 1958 da Filippo e Maria Mira. Il padre, molto rigido nell’educazione, era maestro elementare come anche la madre. Egli lo obbligava nel pomeriggio a studiare fino ad un certo orario, e poi poteva uscire per un poco ma rientrare molto presto. Ciò anche da adolescente. Poi, dopo molte insistenza anche da parte nostra, si riuscì a convincere il padre a farlo rientrare un po più tardi.
Mano a mano la conoscenza cominciò a diventare amicizia e ci frequentavamo sempre più spesso specie dopo le scuole medie e dopo che Antonio Corda se ne andò con la famiglia in America.
Alle superiori tutti e due siamo andati all’Istituto Tecnico per Geometri, ma lui era al corso A mentre io al corso D e poi C. 
Gli anni più intensi di frequenza furono dal 1974 al 1977. In quel periodo avevamo anche conosciuto Vincenzo Graceffo molto più grande di noi (classe ’52 mentre noi ’58 e ’59) il quale era molto esperto in passeggiate per le campagne di Ribera. Infatti tra le altre attività della compagnia vi era l’esplorazione del territorio.
Dopo averlo “svezzato”, Lillo cominciò a frequentare la “chiazza” ed altri amici, ma per il suo caratteristico aspetto, la faccia allungata, il mento anch’esso lungo, la mancanza di un incisivo centrale superiore e soprattutto per la sua indole ilare, era spesso preso in giro da tutti. Addirittura ricordo che qualche volta, quando andava in piazza, gli si attorniava una folla di ragazzi che si divertivano alle sue spalle e noi ogni qualvolta lo vedevamo in quelle situazioni cercavamo di trascinarcelo fuori portandolo con noi. Fortunatamente egli aveva un carattere forte e sapeva stare allo scherzo, altrimenti la sua psiche avrebbe potuto avere conseguenze deleterie.
Fondamentalmente buono e degno di fiducia, noi lo avevamo come vero amico. Nella Chiesa Madre avevamo fatto con l’arciprete Birritteri una specie di Azione Cattolica sistemando anche con le nostre risorse un garage in via Trionfo per le riunioni, ma anche per organizzare scherzi da fare agli amici. Quindi la Chiesa Madre era il nostro quartier generale per combinarne di tutti i colori.
Essa era inagibile dal 1969 e noi aprendo le porte “allapazzate” entravamo dovunque, nella canonica, sui tetti, e dentro la stessa chiesa diroccata.
Allora funzionava da Chiesa Madre il salone detto “del Bambino” e lì gli scouts avevano lasciato, insieme ad altri strumenti, anche una batteria (era il periodo in cui era entrato nella liturgia il canto e la musica moderno e spesso anche il complessino) e Lillo si innamorò di quello strumento e spesso lo si trovava nella sede a suonare da solo.
Molte volte giravamo di notte sui tetti con delle candele o lanterne, ma anche dentro la Matrice e sul campanile e qualche volta dei vicini ci avevano visto e telefonavano all’arciprete credendo ci fossero i ladri. Ma ecco cosa scrivevo nel 1981 ricordando quei tempi:
 “Nel frattempo conobbi Vincenzo Graceffo, con il quale andavamo insieme ad altri (Lillo Miliano, Antonio Corda, che già conoscevo da molto prima) ad esplorare le campagne limitrofe. La cosa più importante che scoprimmo casualmente fu la grotta della sorgiva di S. Rosalia. Io, Vincenzo e Lillo nel mese di giugno del 1975 (o 74) girando per le terre di Ribera ci è venuto in mente di visitare le grotte (in effetti le piccole insenature nella roccia) di S. Rosalia, proprio sotto Ribera o meglio sotto la Piazza di S. Rosalia.
Lungo la strada ferrata della ferrovia, allora ancora in funzione, in quella zona abbiamo scoperto che c’era una casa (probabilmente di una centrale elettrica o di acquedotto) abbandonata e vi erano delle attrezzature dismesse. Ci siamo divertiti un sacco a smontare strumenti e vi tornavamo spesso.
Altre volte attraversavamo la galleria ferroviaria, lunga più di un chilometro, che passa sotto Ribera col pericolo che poteva passare il treno (in effetti non molto velocemente).
 Dicevo che in quel giugno abbiamo deciso di salire per un sentiero sopra la strada ferrata  per andare a finire all’abbeveratoio detto di S. Rosalia con annesso e, mentre scherzavamo con l’acqua, Enzo salì un po più su della fontana e vide un buco non naturale. Guardò dentro e si accorse che era profondo, ma non si vedeva nulla. Ci avvertì ed io e Lillo lo abbiamo raggiunto. Eravamo molto scettici, comunque con un po di coraggio Lillo si chinò per entrarvi. Appena siamo entrati anche noi, prima Enzo e poi io, Lillo continuò a fare qualche passo al buio completo. A terra, sul lato sinistro, scorreva l’acqua che andava all’abbeveratoio mentre quello destro era all’asciutto. Abbiamo proseguito ma con il timore che vi fosse qualche fosso, ma fortunatamente non ce ne erano. Dopo un 10-15 passi, fatti cautamente, Lillo disse che la grotta era finita: una roccia fermava le nostre speranze. Enzo, non convinto, perché sentiva scorrere dell’acqua un po più in là tastò tutta la parete e si accorse che sul lato destro la galleria continuava. Comunque di proseguire non se ne parlava perché c’era troppo buio e così abbiamo deciso di tornare il giorno successivo con delle candele. Non capisco perché proprio le candele e non delle torce elettriche, forse perché più suggestivo.
Il giorno dopo siamo ritornati sul luogo tutti eccitati per quello che ci aspettava: il mistero ci entusiasmava. Appena entrati abbiamo acceso le candele notando che il tetto era composto da conci di tufo murati a V rovescia. Arrivati al punto in cui ci eravamo fermati il giorno prima c’era la svolta a destra con il medesimo tipo di tetto. Successivamente ci siamo accorti che dalla parete di sinistra sgorgava dalla viva roccia acqua freschissima e come del resto era la temperatura all’interno (in effetti nelle grotte la temperatura rimane sempre la stessa per cui la sensazione dipende dalla temperatura esterna).
Proseguendo il tetto si faceva sempre più alto e le pareti più fangose.
Poi improvvisamente la scena che si mostrò ai nostri occhi era veramente straordinaria: la cavità si faceva alta circa 4 metri e le pareti erano bianchissime come il ghiaccio. Continuando a camminare ci siamo accorti che pioveva acqua dal tetto, del resto era logico perché avevamo visto delle stalattiti in embrione!
La pioggia ci spense qualche candela e ci obbligò, con un po di paura, a correre oltre sperando che non piovesse più. Guardando così indietro abbiamo notato un’altra cavità a circa due metri dal piano di calpestio e la cosa ci incuriosì molto. Continuando a camminare il calcare dalle pareti andava scomparendo e le pareti ritornarono di tufo. Ma prima di incontrare il calcare delle pareti avevamo visto una specie di corda nera che dal tetto entrava nel pavimento. La cosa ci aveva preoccupato molto e ci fermammo per controllare cautamente cosa fosse. Dopo un po di panico ci accorgemmo che erano radici.
Continuando la grotta si rimpiccioliva in altezza e poi terminava. Sulla parete destra, una quindicina di metri prima che la grotta terminasse, c’era una finestra murata con accanto incisi dei numeri che credo fosse l’anno di costruzione: 1889 (ma non sono sicuro fosse questo). Il tunnel era stato scavato quasi interamente dall’uomo.
Il giorno dopo siamo ritornati con il costume da bagno sotto i vestiti e così abbiamo potuto esplorare anche la cavità che avevamo visto a due metri dal suolo. Siamo saliti io e Lillo constatando che anche quelle pareti erano bianche, la profondità circa 3,5 metri, l’altezza due metri e 1,2 metri la larghezza. Tutto finiva là: ma era bellissimo!
Qualche settimana dopo abbiamo portato molti nostri amici e abbiamo illuminato il tunnel con delle candele messe nelle cavità laterali.
Abbiamo aperto la finestra trovata murata accorgendoci che si affacciava proprio sotto la cascata e la veduta era bellissima e sembravamo nella giungla. Di tutto ciò ho delle diapositive.
In questa grotta abbiamo anche fatto uno scherzo molto macabro agli amici.
(…)
Gli scherzi e gli scavi
Il nostro hobby era anche scavare per trovare tombe preistoriche o catacombe. In questo ultimo caso volevamo trovare le sepolture della Chiesa Madre diroccata (allora). Pulendo il pavimento dai detriti abbiamo trovato una lapide tra l’altare di S. Gioacchino e quello di S. Giuseppe. La tomba apparteneva alla famiglia Pasciuta. Abbiamo rotto solo un angolo del marmo e praticato un foro di 35 centimetri circa di diametro e piantando un picchetto sotto abbiamo trovato che era vuoto e abbiamo allargato il buco in modo che potesse entrare una persona. Si sono calati Enzo e Lillo sempre con un paio di candele. Lillo aveva messo il piede, appena calatosi, dentro una delle casse scoperte sporcandosi la scarpa di una specie di calce bianca: erano le ossa del morto! Dentro c’erano due o tre casse che sembravano vuote, ma in effetti i cadaveri si erano disfatti ed erano diventati come la calce. Purtroppo era solo una stanza di 2,50x2,40x1,80 metri senza aver potuto scoprire nessuna galleria e niente che assomigliasse a delle catacombe (attualmente la fossa è visibile perché hanno messo un vetro).
Abbiamo così continuato a cercare in altri posti l’eventuale entrata delle catacombe e abbiamo trovato un’altra lapide sotto la falsa cupola e davanti all’altare maggiore. Era del 1760 e vi era sepolto il Barone Turano Campello. Questa volta la lapide era di modeste dimensioni e l’abbiamo sollevata tutta facendo leva in un angolo. Appena divelta e scavando pochi centimetri abbiamo trovato il vuoto ma vi era solo la cassa del Barone. Tolto il coperchio in semplice tavola, dentro sembrava non ci fossero le ossa (le abbiamo trovate successivamente in una ricognizione con il dottore Macaluso).
Avendo io ed Enzo uno spiccato senso dell’umorismo e voglia di fare scherzi abbiamo pensato di organizzarne uno in grande stile utilizzando il legno “stagionato” del coperchio della cassa del Barone, ma abbiamo estromesso dall’organizzazione Lillo.”

Il tempo passava tra scampagnate, esplorazioni, associazione e scherzi. 
Una volta, ricordo, abbiamo trovato nella Chiesa Madre il vecchio catafalco che si usava nei trigesimi per i funerali (prima del Concilio Vaticano II) e moltissime vecchie candele trovate in una scatola, abbiamo pensato di fare una messinscena. Una sera, nella stanza della S. Vincenzo di via Trionfo a piano terra, abbiamo montato il catafalco con il relativo manto nero (che aveva ricamati dei teschi e ossa varie), abbiamo messo le candele accese ai lati della finta bara e anche un po dovunque e quindi illuminata così tetramente la stanza e aperte le imposte ci siamo messi lì dentro a fare finta di piangere. La gente passava e chissà cosa gli sembrava fosse successo…
Un po di tempo dopo ci fu proposto di entrare a far parte della Società S. Vincenzo de’ Paoli (associazione che aiuta i poveri) e così io, Enzo, Lillo, Giovanni Fasulo, Mimì D’Angelo, Santino Zambuto, Jack Clemente, Nino D’Anna, Gaspare Corso ed altri ci siamo iscritti nella sezione giovanile. Ci guidava Vito Cappello. Abbiamo partecipato a alcuni convegni regionali e in questa occasione abbiamo conosciuto tre sorelle di Siracusa che facevano di cognome Mazzarella. Lillo ed io eravamo interessati ad instaurare un rapporto di amicizia che sarebbe potuto sfociare in qualche altra cosa di sentimentale, ma la distanza e la mancanza da parte nostra di mezzi di locomozione autonomi ci ha fatto desistere dal continuare tale rapporto. Prima io e poi Lillo siamo andati a trovarle per qualche giorno ospiti in casa loro ma in periodi diversi.

Nel frattempo l’arciprete Birritteri aveva ospitato in casa una ragazza dell’orfanotrofio, Enrichetta Lo Sardo, e Lillo ci andava spesso essendo questa frequentata anche dalle compagne di scuola della ragazza.
Lillo diventò in questo periodo molto geloso, tanto che non gradiva che anche io e Enzo entrassimo a far parte della compagnia: forse perché interessato alla ragazza. Ma siccome anche noi, come loro, facevamo parte sia della Schola cantorum della parrocchia, che del gruppo “Cenacolo del Vangelo” creato e seguito da mio zio don Gerland
o Lentini, non potevamo fare a meno di vederci tutti.
Così riuscii a rompere lo zoccolo duro creato da Lillo. Io ero innamorato veramente di Enrichetta tanto che le feci la dichiarazione ed ebbi risposta positiva. Così gli eventi precipitarono talmente veloci che solo dopo pochi mesi Lillo fu costretto a non frequentare più la casa dell’arciprete, per ovvi motivi.
Da allora ci perdemmo di vista. Lui si fece la sua strada diventando un libero professionista (Geometra), si affermò nel lavoro con un successo inaspettato da molti colleghi. Aprì uno studio attrezzandosi mano a mano di tutti gli strumenti all’avanguardia, compreso il computer, tanto che la sua opera veniva richiesta anche da ingegneri ed architetti.
Nel 1978 faceva il batterista nel complesso Salmeri cui facevano parte Nino Corsentino (Cantante), Ambrogio Salmeri (Sax), Vincenzo Pace (Chitarra basso), Tonino Maniscalco (Tastiera), Paolo Tortorici (Chitarra).
Il 23.4.1986 moriva il padre di Lillo, Filippo Miliano, che era nato il 12.7.1923. 
Da altre fonti ho saputo che era entrato a far parte dell’associazione de “I ragazzi del Lago” di Leo Amici che aveva la sede a Ribera nella casa di campagna di Relo Vella i quali, oltre a organizzare spettacoli musicali, curavano il recupero di tossicodipendenti. Per gli spettacoli Lillo curava l’aspetto organizzativo, le luci e suonava nel complesso la batteria, suo strumento prediletto. 
Abbiamo fatto una rimpatriata molti anni dopo (ho visto così che era andato dal dentista a farsi mettere l’incisivo mancante) probabilmente intorno agli anni ’90 perché ho avuto bisogno della sua opera di geometra per il rilevo della mia terra. In quella occasione abbiamo un po parlato dei tempi passati, ma nulla di più.
Ho saputo pure che è stato fautore di una conversione di un protestante. Notizia appresa da un libro di mio zio don Gerlando Lentini dal titolo “Perché cattolici”, dove, nella seconda edizione, c’è la testimonianza dell’interessato, diventato poi prete, don Massimo Musso: “La fase ricostruttiva della mia fede e della mia vita ha avuto inizio in una data precisa: il 17 settembre 1991. Quel giorno, un mio carissimo amico, Lillo Miliano, al quale devo eterna riconoscenza, ispirato certamente da Maria, della quale era filialmente devoto, vedendomi in tale stato di crisi, mi regalò un libro: PERCHÉ CATTOLICI, il cui sottotitolo è: Le ragioni della nostra fedeltà alla Chiesa cattolica. Autore don Gerlando Lentini. Uscito in prima edizione nel 1990, evidentemente senza questa mia testimonianza. Quest'amico, qualche anno fa, è ritornato a Dio felicemente e serenamente, ancora tanto giovane.”
Alla morte della sorella Giovanna Miliano avvenuta il 22.5.1995 (era nata l’8.1.1964) venni a sapere che i due avevano problema all’intestino, ereditato dal padre, che a lungo andare, se non operato radicalmente, poteva trasformarsi in tumore.
Con Enrica siamo andati al funerale e poi siamo andati a trovare Lillo a casa che ci sembrò molto provato e prostrato (non sapevamo ancora della loro tara ereditaria) e pensavamo fosse per il dolore della morte prematura della sorella. Invece di lì a poco anche lui si aggravò, ma era già stato male per questo lo avevamo trovato in quel modo, e venne ricoverato all’ospedale di Ribera. Lì la madre aveva creato un muro con l’esterno: non lo faceva visitare da nessuno. Forse una volta sola riuscii ad entrare nella stanza, ma per pochi istanti.
Sette mesi esatti dopo la morte della sorella anche lui ci lasciava il 21 dicembre 1995.











Appunti lasciati dopo la pubblicazione della foto su Facebook da amici e conoscenti

Salvatore Graceffo: Il ricordo di Lillo è per me indelebile. Era un caro amico........

Ignazio Sabella: Non sapevo della sua morte! Mi dispiace.

Francesca Di Giorgi: Lillo è stato un amico speciale non si dimentica.

Aurelio Bonafede: Lu vecchiu Lillu...che piacere rivederlo... hai foto della sorella?

Anna Spinelli: Me lo ricordo benissimo. Era un bravo e caro ragazzo!!!!

Maria Manetta: Lo ricordo come un ragazzo simpatico, gentile, cordiale, riservato e sono molto contenta di averlo conosciuto veramente una bella persona.... ciao Lillo

Ciro Palmeri: Ho un bellissimo ricordo di Lillo Miliano ... ciao Lillo.


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