martedì 24 dicembre 2013

Momenti di vita locale, nn. 277 e altri?

L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 1

di Gerlando e Raimondo Lentini

La famiglia

Un personaggio di questo secolo poco conosciuto, ma che non bisogna dimenticare, è certamente l’arciprete Francesco Paolo Chiaramonte, nativo di Agrigento, ma naturalizzato riberese, il quale è stato per alcuni anni collaboratore dell’arciprete Nicolò Licata nelle sue innumerevoli lotte sociali. 
Sappiamo che la sua famiglia si trasferisce a Ribera intorno al 1889, proveniente da Agrigento, con il padre, Epifanio Calogero, figlio di Domenico e di Anna Ravanà, che ivi era nato il 27 luglio 1841. Dalle schede anagrafiche di Ribera risulta che Epifanio era “Civile” e si era sposato, sempre ad Agrigento, il 13 ottobre 1861 con Antonina Zarcone e moriva a Ribera il 20 aprile 1912.
Il trasferimento di tutta la famiglia avviene probabilmente perché il figlio di Epifanio, Domenico, che impiegatosi al Municipio di Ribera come Ragioniere il 1° giugno 1889. Mentre con delibera del 10 marzo 1895, lo stesso viene nominato Segretario Comunale, in seguito al ritiro per limiti di età di Sebastiano Salerno, e mantiene anche il ruolo di Ragioniere.
I figli generati da Epifanio Calogero e Antonina Zarcone sono stati, oltre a quelli nati e morti giovani o in fasce, i seguenti:
Domenico, era nato ad Agrigento il 10 dicembre 1862 e si sposava ivi il 17 dicembre 1885 con Vittoria Graceffo, a Ribera svolgeva la mansione di Segretario Comunale e moriva nel nostro comune l’11 febbraio 1915. Ebbe questi i seguenti figli: Epifanio Calogero Ferruccio, generale di fanteria nonché eroe della 2ª Guerra Mondiale, nato a Ribera il 28/5/1892 e morto a Milano il 29/6/1970, si sposava a Terni il 19/2/1917 con Carolina Lazzari; Erminia nata a Ribera il 25/6/1894; Ercole nato a Ribera il 16/9/1896 e morto a Reggio Emilia il 30/11/1977, si sposava a Parma il 2/2/1933 con Rosa Rina; Antonina Ofelia nata a Ribera il 12/11/1898 e morta ad Agrigento il 30/3/1993 si sposava ad Agrigento il 3/2/1923 con Giacomo Miceli; Manfredi nato a Ribera il 10/7/1904 e morto a  Roma il 14/3/1984, si sposava a Spoleto il 31/10/1931 con Carolina Pampana; Tancredi nato a Ribera il 1/9/1907 e morto ad Agrigento il 27/11/1988, si sposava a Trapani il 31/7/1937 con Elsa Barbieri.
Cesare, era nato ad Agrigento il 27 luglio 1872 e si sposava a Ribera il 20 febbraio 1898 con Serafina Salerno, Insegnante elementare a Ribera  e moriva a Como il 7 ottobre 1944. Ebbe questi una figlia Iolanda nata a Ribera il 26/8/1908 e morta anch’ella a Como il 16/7/1986, si sposava a Ribera il 4/1/1928 con Antonio Paderi.
Francesco Paolo, nato ad Agrigento 13 marzo 1877, di cui parleremo dopo.
Vittoria, nata ad Agrigento il 4 ottobre 1879, sposata il 30 dicembre 1911 con Vincenzo Di Stefano e, vedova il 23/1/1954, si trasferiva a Usini in provincia di Sassari.
La famiglia di Domenico abitava in via Duomo n. 8, come si leggiamo dalle schede anagrafiche, mentre quella di Cesare in corso Margherita, ed ivi naquero i rispettivi figli. Ora parte della famiglia si trova a Milano (quella del Generale), parte si trova a Reggio Emilia, parte a Roma, parte ad Agrigento.
Elena, nata ad Agrigento il 14 giugno 1885, Insegnante Elementare, rimasta nubile e morta, fuori Ribera, nel 1947.
Dunque Francesco Paolo veniva ordinato sacerdote ad Agrigento il 19 marzo 1904. Il Lavoratore (giornale fondato nel 1902 a Sciacca dal sacerdote Nicolò Licata) del 3 aprile successivo, ne dava notizia in questi termini:
«L’ascensione al Sacerdozio del nostro amico e compagno di lotta Francesco Chiaramonte è stato un avvenimento cui presero parte il Comm. Parlati con la sua conferenza, il nostro direttore don Nicolò Licata con la sua omelia, le Associaizoni cattoliche ed i cittadini di Agrigento con le loro manifestazioni di simpatia.
Noi facciamo le nostre congratulazioni al neo-presbitero e gli rammentiamo che ormai la sua esistenza appartiene alla Chiesa per il popolo e con il popolo».
Il novello sacerdote ben presto andrà ad esercitare il ministero sacerdotale a Ribera, ove si trovava già la sua famiglia.
Svolgeva il suo ministero nella Chiesa Madre come Cappellano Sacramentale, mentre era arciprete Michele Vaccaro, il quale, però, non esercitava essendo molto anziano e debilitato da una malattia, mentre l’economato era affidato temporaneamente al sacerdote Gaspare Valenti.
Dopo appena due anni di sacerdozio e un anno prima della morte del Vaccaro pubblicava un opuscolo dal titolo “Ribera verso l’avvenire ....” in cui esortava, tra l’altro, a riprendere i lavori della facciata della chiesa madre.
L’anno successivo veniva nominato arciprete di Ribera il suo carissimo amico Nicolò Licata e i due continuarono a collaborare sia sul piano pastorale che su quello sociale.
Nelle prossime puntate vedremo ciò che i due sacerdoti hanno fatto per Ribera nel periodo che va dal 1907 al 1912, anno in cui diveniva arciprete di Marsala.



L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 2

di Gerlando e Raimondo Lentini

Lotte per la ferrovia

Una delle prime battaglie intraprese dai due è stata quella per la ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle.
In vista di una manifestazione, il Comitato di Sciacca pubblicò un numero unico intitolato PRO FERROVIA CASTELVETRANO-PORTO EMPEDOCLE con la data del comizio 2 febbraio 1906. In esso si parla delle manifestazioni che precedettero, nei vari paesi, quella di Sciacca. Solo però di quella di Ribera viene data dettagliata relazione.
A fine gennaio, in vista del raduno di Sciacca, Ribera era in agitazione. Ecco quanto scriveva l’anonimo corrispondente di Ribera, secondo quanto leggiamo nel numero unico di cui sopra:
“Ferve vivissima in mezzo a questa cittadinanza l’agitazione per le ferrovie complementari. Ieri (non viene precisato, purtroppo, il giorno del mese — n.d.R.) ha avuto luogo un imponente Comizio con l’intervento di tutte le associazioni locali e di parecchie migliaia di cittadini.
Chiamato alla Presidenza effettiva della riunione il Barone Serafino Turano, questi espose brevemente lo scopo dell’agitazione suscitando applausi generali. Lo seguì l’avv. Giuseppe Leotta, il quale fu efficacissimo nell’esporre la storia di tante promesse mai mantenute; e strappò alla fine vivissime acclamazioni.
Poi ebbe la parola il sac. Francesco Chiaramonte, il quale si rivolse al popolo incitandolo a trovare nel ricordo di tanti abbandoni e di tante ingiustizie la forza di rinnovarsi prima di morire. Inneggiò alla concordia degli intenti in questo supremo momento in cui si sta per spezzare un patto stabilito per legge; ed esortò tutti a perseverare nel santo proposito della rivendicazione di un diritto, dal cui conseguimento dipende la fortuna e l’avvenire di Ribera.
Concluse l’avv. Vincenzo Bonifacio con roventi parole contro la rappresentanza politica siciliana, la quale non si mostra all’altezza del suo mandato, in questo momento, mentre non trascura tante volte di salire e scendere scale per assicurare libertà a qualche delinquente. È applauditissimo.
L’avv. Leotta presenta un ordine del giorno con cui si delibera la costituzione di un Comitato permanente di agitazione; l’invito a tutti coloro che coprono cariche elettive di dimettersi immediatamente senza aspettare la decisione degli altri comuni interessati; l’invito al deputato del Collegio di uniformarsi alle deliberazioni che saranno prese nella riunione dei sindaci e dei deputati che avrà luogo a Roma; l’adesione alla riunione indetta a Sciacca per il 2 febbraio.
L’ordine del giorno viene approvato all’unanimità.
Immediatamente si forma il Comitato permanente di agitazione, fra le acclamazioni generali dell’assemblea: Cav. Carmelo Parlapiano, presidente onorario; sindaco Chiarenza, presidente effettivo; Barone Turano, vice‑presidente; i Presidenti della Cooperativa di Lavoro San Giuseppe, della Cassa Rurale, del Circolo dei Civili; Barone G. Pasciuta, Avv. Leotta, Avv. Carmelo Bonifacio, Sac. Chiaramonte, B. Castelli, Scalia Gioacchino, G. Abisso, G. Samaritano, P. Ciccarello, A. Vella, Anselmo Guastella, Dott. Friscia, G. Scorsone, M. Amato, I. Ganduscio, Michele Matinella, Nicolò D’Angelo, membri; Domenico Chiaramonte, segretario”.
Formatosi il Comitato, preceduta dalle due musiche, una imponente dimostrazione percorre le vie principali del paese. Dinanzi al Palazzo municipale viene chiamato a parlare il sac. Francesco Chiaramonte, il quale dice:
— Il popolo solennemente e legalmente oggi ha affermato i suoi propositi per la rivendicazione di un suo incontestabile diritto. Fra i voti fatti nel grande comizio vi è anche quello delle dimissioni in massa di coloro che coprono cariche elettive. Ebbene, se è vero, o signori dell’Amministrazione comunale, che voi vi trovate a questo posto per libera volontà di popolo, oggi che questo vi dice di abbandonarlo, dimettetevi! Da questo atto si saprà se le classi dirigenti sono con le classi inferiori e per la prosperità sociale del paese di Ribera; ed è con questo atto di fiducia che quest’assemblea popolare oggi pacificamente si scioglie!
Vive acclamazioni coronano queste ultime parole, mentre la bella dimostrazione si scioglie facendo le più disparate previsioni sull’esito di ciò che si è domandato.
Dopo due ore, in Municipio, le dimissioni vengono firmate dai consiglieri comunali, dai membri della Congregazione di Carità e della Commissione mandamentale di R.M.
Queste dimissioni, consegnate al Presidente del Comizio, verranno presentate alla riunione di Sciacca del 2 febbraio, irrevocabilmente.
Da Calamonaci arrivano intanto consolanti notizie. Imitando Ribera, quel Comitato di agitazione presenterà anch’esso le dimissioni di quel Consiglio Comunale alla riunione di Sciacca.
Da Ribera furono spediti telegrammi al Sindaco di Sciacca ed ai deputati Demichele, Pantano, Colaianni e Cascino» (dal Numero Unico di cui sopra).


FINALMENTE è intitolato l’editoriale del Lavoratore del 12 febbraio 1908; scrive l’arciprete Licata:
“Le tanto promesse e ritardate ferrovie complementari incominciano a realizzarsi. Già si lavora nei due tronchi Porto Empedocle-Siculiana e Canicattì-Naro; si sono appaltati i tre tronchi Castelvetrano-Selinunte, Castelvetrano-Partanna e Assoro-Valguarnera; ultimamente vennero approvati diversi progetti, tra cui quello di Sciacca-San Marco, mentre gli studi degli altri tronconi procedono alacremente.
Insomma, pare che il Governo voglia rifarsi del tempo perduto, tanto che anche l’ufficio tecnico di Sciacca incomincia a dare i suoi risultati. Fervet opus!
Noi speriamo che nell’entrante primavera si attacchi a lavorare su tutta la linea e che prima delle altre venga allestita la linea principale, Castelvetrano-Porto Empedocle, com’è dovere del Governo e diritto della nostra provincia. Perciò occorre l’opera solerte dei nostri deputati presso il Governo e la spinta continua dei Comuni, dei Sodalizi e degli elettori verso i deputati”.

La vigilia. È domenica — leggiamo sul Lavoratore del marzo 1917 —, giornata primaverile. Molta gente si reca a passeggio alla stazione che già ha ultimato la toilette per la festa del domani. È arrivato il capostazione signor A. Spatare, preceduto da fama di ottimo funzionario. C’è un gaio andirivieni di personale e di materiale. Il Cav. Ing. Genuardi è venuto a presenziare la festa quale rappresentante della Direzione generale. Nel pomeriggio, per suo gentile invito, con treno speciale, ha luogo una bella gita di piacere a Cattolica. C’è anche il rappresentante della stampa. La gita fa subito rilevare a tutti come la ferrovia, arrivando a Ribera, è salita all’aria, alla luce, alla vita, ai vasti fioriti orizzonti.
Aspettando. La mattina dell’inaugurazione è proprio primaverile. Sin dalle prime ore si vede gente e gente scendere alla stazione come nelle gite campestri dell’indomani di Pasqua e dell’Ascensione.
Alle 4 era partito il primo treno viaggiatori con un introito di circa 200 lire.
La stazione è imbandierata e gremita di persone che osservano con curiosità gl’impianti ed il treno che fuma in partenza.
Certuni vedono per la prima volta il treno!
Arrivano man mano le autorità, le scuole, le rappresentanze e le personalità del paese.
Dopo mezzogiorno parte, con molti gitanti, il treno che a Bivio-Greci deve incrociare con quello inaugurale che si aspetta.
L’arrivo del treno. Finalmente… le trombe lo annunziano, dalla folla si leva un brusio lunghissimo, la musica intona la marcia reale, il treno si affaccia imbandierato ed entra maestoso nella stazione tra gli applausi e le acclamazioni della folla che lo circonda. Spettacolo da istantanea!
I discorsi. Fattosi un po’ di silenzio parla per primo, da un balcone della stazione, a nome di Ribera, il Parroco Licata il quale, esprimendo la soddisfazione generale, porge un saluto di ricordo e di omaggio al defunto on. Licata di Sciacca che tanto lavorò per le ferrovie complementari, ed al presente on. Parlapiano benemerito dell’apertura della linea; ringrazia direttori, ingegneri e lavoratori del solco aperto alla civiltà; conchiude con l’augurio più fervido per l’avvenire di Ribera, al congiungimento ferroviario con Sciacca, al giorno auspicato del ritorno dei soldati vittoriosi. Infine, rilevando la presenza dell’Ing. Cav. Genuardi, cui la città dev’essere grata, invitò tutti e tutti gridarono: Viva Ribera! Viva l’Ing. Genuardi!
Seguì il giovane avv. Santangelo il quale, portando il saluto di Sciacca, fece un elevato discorso sui benefici della vaporiera nei rapporti sociali.
Poscia l’Ing. Genuardi ringraziando con belle parole, a nome della Direzione Generale, la città e gli uffici di costruzione, disse tutta la sua soddisfazione per l’avvenimento che segnava l’inizio di una nuova vita al cui pieno sviluppo la Direzione sarebbe stata lieta di collaborare.
Infine il Dott. Di Leo inneggiò a tutti i benemeriti della ferrovia, al Re, all’esercito, alla patria.
Tra gli applausi e la soddisfazione generale ebbe termine la bella festa. Le gente lentamente ritornava in città commentando entusiasticamente l’avvenimento”.

(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)



L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 3

di Gerlando e Raimondo Lentini

La morte dell’Arciprete Michele Vaccaro

Il sesto arciprete di Ribera, nominato nel 1855, fu don Michele Vaccaro, riberese, figlio di Francesco e di Rosalia Gagliano, originari di Burgio, nipote del sacerdote don Pietro Vaccaro, Cappellano Sacramentale della madre chiesa di Ribera. Era nato il 29 Agosto 1825, veniva battezzato il giorno dopo ed ordinato sacerdote nel 1848. Egli resse l’arcipretura per ben 48 anni; poi, nel 1903, si ammalò di mente ed il 16-18 novembre 1905, su istanza dei sigg. Attardi Vincenzo e Matinella Ignazio, venne dichiarato interdetto dal tribunale di Sciacca. L’amministrazione dei suoi beni fu affidata al sig. Michele Matinella.
Il Vaccaro morì a Ribera nel palazzo che egli stesso aveva fatto costruire all’inizio della sua arcipretura, sito in via Chiarenza (già via Vaccaro) al numero 75, il 1° gennaio 1907 e venne sepolto nell’attuale cimitero.
Dal 1903 al 1907, cioè durante l’interdizione del Vaccaro, resse la chiesa madre, come Economo, il sacerdote don Gaspare Valenti.
Vediamo adesso quello che successe a Ribera in quei giorni.
Ribera. “Il 1° gennaio 1907, nell’ora in cui la Chiesa richiama i fedeli alla dolce e cara preghiera a Maria, a mezzogiorno, esalava l’estremo respiro con commovente serenità l’Arciprete Michele Vaccaro.
Alla triste notizia un popolo intero si riversò nel palazzo ove si trovava esposta la salma. Il pietoso pellegrinaggio durò fino alle 16, fino a quando venne portata nella chiesa Madre, preceduta dalla musica, dalle Associazioni cattoliche e da una folla straordinaria.
L’indomani, mercoledì 2 gennaio, ebbero luogo i solennissimi funerali. In fondo alla chiesa si scorgeva un magnifico e ammirato catafalco, dovuto all’opera del valente paratore di Aragona Giuseppe Parello. Alle ore 11 la chiesa è letteralmente gremita di persone appartenenti alle diverse classi sociali. Sono presenti tutte le autorità e le Associazioni cattoliche con le bandiere.
La Messa solenne viene celebrata dall’Arciprete Di Leo, assistito dal Clero di Calamonaci e Ribera. Prima di dare l’assoluzione legge un commovente elogio funebre il Sac. Francesco Chiaramonte.
Terminate le funzioni ha luogo il trasporto della salma al cimitero. Il corteo è imponentissimo. Precedono la musica, la Cassa Rurale, la Cooperativa di Lavoro San Giuseppe con bandiera abbrunata, la Fratellanza Operaia con una magnifica corona, il Clero. Seguono il feretro, sul quale si trova una bella corona della famiglia, i parenti dell’estinto, il Sindaco, la Giunta, il Pretore, i Consiglieri comunali, il Circolo dei Buoni Amici, un popolo immenso.
Giunto il corteo al limitare della strada principale, lesse un discorso erudito il Sac. Giuseppe Valenti. Poi, seguito sempre dalla stessa folla, il feretro procedette per il Cimitero ove, a nome della famiglia, pronunciò poche parole di ringraziamento il Sac. Chiaramonte” (Il Cittadino, Agrigento 18.2.1907).
Pochi mesi dopo si insediava nell’arcipretura di Ribera il saccense, amico fraterno del nostro Chiaramonte, Nicolò Licata a cui molto deve il popolo riberese.

(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)



L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 4

di Gerlando e Raimondo Lentini

Anche a Ribera la sfida Socialista

Sul numero del Cittadino di Agrigento del 18 febbraio 1907 leggiamo una corrispondenza da Ribera firmata con la sigla FOCE, che corrisponde certamente a Francesco Chiaramonte, il giovane e battagliero prete agrigentino trapiantatosi nella detta cittadina.
“Anche in Ribera — egli scriveva — si minaccia di cominciare una commedia socialista con la fondazione di un circolo quadrato, destinato a raccogliere persone che della bandiera scarlatta possono servirsi per coprire interessi e tornaconti individuali e… familiari.
Noi siamo al nostro posto di combattimento decisi ad accettare la sfida donchisciottesca e pronti a mettere nella vera luce gl’intendimenti dei nostri avversari.
Si dice che domenica sarà qui il signor Gaetano Mangano di Lucca Sicula per tenere una conferenza. A lui, che credo un lottatore sincero per il suo ideale, io semplicemente domando: Ma crede proprio dignitoso compromettere il proprio nome con una organizzazione che nasce con un grosso peccato, e per giunta imperdonabile, quello, cioè, di uno spirito di lotta originato da interessi particolari e per interessi particolari nutrito e disciplinato?
Oh! tempi… dei mori.
Intanto, mentre il socialismo o l’affarismo si affanna a raccogliere i malcontenti, le nostre forze si sviluppano e progrediscono. La Cooperativa di Lavoro San Giuseppe ogni giorno afferma sempre più la sua vitalità rigogliosa e marcia trionfalmente verso le sue nobili conquiste. La Cassa Rurale si è acquistata già molta fiducia e cominciano a piovere importanti depositi. La Fratellanza Operaia San Vincenzo Ferreri (cooperativa di lavoro tra i muratori) ha già espletato tutte le pratiche legali per la costituzione e ha già cominciato ad esercitare la sua benefica funzione. Anche i caprai si sono uniti in Circolo di miglioramento con sede propria, e domenica passata elessero il Consiglio direttivo nelle persone di: Giuseppe D’Azzo presidente; Gioacchino Gulino vice-presidente; Alfonso Lo Piccolo, Ciro Zambito, Stefano Amari, Giuseppe Lauro consiglieri; Sac. Francesco Chiaramonte cassiere e segretario.
La nostra organizzazione procede, dunque, meravigliosamente, raccogliendo tutte le varie classi popolari in tale unione d’intenti da poter dire che l’avvenire è per il popolo cristiano”.

(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)



L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 5

di Gerlando e Raimondo Lentini

La Festa dei Lavoratori del 1907

XV maggio 1907, Festa dei Lavoratori cattolici. “Anche quest’anno, per festeggiare l’enciclica degli operai Rerum novarum, convennero nell’incantevole spiaggia di Capo Bianco, alla foce del Platani, i lavoratori di Cattolica Eraclea e di Montallegro con le rappresentanze di Ribera, Sciacca e Agrigento.
Dalle alture dell’antica Eraclea Minoa lo spettacolo di quella folla densa e variopinta incorniciata dall’azzurro del mare e dal verde dei campi era qualche cosa di fantastico e pittoresco.
La Cassa Rurale e la Lega di Cattolica erano venute con la musica, la Cassa Rurale di Montallegro con un trionfo di bandiere. E dietro a loro uomini e donne d’ogni età e condizione.
Fu celebrata la Messa all’aperto; e dopo, da un rialzo, di fronte al mare, parlarono, tra scroscianti applausi, il Sac. Sclafani sul significato della festa, il Sac. Licata sull’elevazione religiosa, civile ed economica del popolo, l’avv. Fronda sulle elezioni prossime, l’avv. Nicotra sulle benemerenze della democrazia cristiana, il Sac. Chiaramonte sulla censuazione delle terre, le scuole rurali e la ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle.
Tra il più vivo entusiasmo si acclama alla democrazia cristiana. Poi l’immensa folla si sparpaglia a bivaccare sul verde tappeto di giummarre ed a visitare le rovine dell’antica Eraclea Minoa, e principalmente il muro gigantesco e la torre rotonda di squisita fattura greca venuti ora alla luce per opera dell’illustre Senatore A. Mosso, coadiuvato dall’insigne Comm. Salinas.
Per l’occasione si fece a Cattolica un po’ di propaganda elettorale per le prossime elezioni. L’avv. Fronda, vittima di un piccolo ma doloroso incidente di viaggio a… dorso di mulo, parlò felicemente dal balcone ad una dimostrazione di operai. Poi, al Circolo, presentati con belle parole dell’avv. Nicotra, parlarono, tra il crescente entusiasmo, il Sac. Sclafani magistralmente, il Sac. Venezia artisticamente, il Sac. Licata praticamente sull’organizzazione e sul movimento elettorale.
Coronò l’opera, con poche ma vibrate parole, il degnissimo arciprete Amato che, godendo meritatamente la fiducia del suo popolo, possiede la più grande forza morale per portarlo alla vittoria.
Al Presidente del Consiglio dei Ministri, al deputato Angelo Mauri ed al Corriere d’Italia fu spedito il seguente telegramma:
Lavoratori Cattolica Eraclea, Montallegro, Ribera, festeggianti anniversario Enciclica degli Operai, reclamano legge censuazione latifondi, diffusione scuole rurali, costruzione leggendaria ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle indispensabile redenzione queste depresse contrade” (Il Lavoratore, 9.6.1907).

(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)



L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 6

di Gerlando e Raimondo Lentini

Nicolò Licata: Sospirato arciprete di Ribera

Non si erano ancora spenti gli echi e i commenti alla grande manifestazione della foce del Platani, quando incominciò a circolare la notizia che don Nicolò Licata aveva accettato l’arcipretura di Ribera. In questa cittadina egli era conosciuto ed ammirato da tempo soprattutto dalla povera gente, oltre che da quella parte della classe più elevata che aveva a cuore il bene religioso e sociale dei suoi dodicimila abitanti: erano stati affascinati dalla sua parola, sia quando parlava intessendo le lodi del Signore e di San Giuseppe, sia quando trattava delle questioni sociali ed economiche che coinvolgevano tutti i cittadini. Anzi, appena un anno prima, il 17 giugno 1906 vi aveva fondato una società cooperativa di muratori, intitolata appunto La fratellanza tra i muratori sotto la protezione di San Vincenzo Ferreri. Peraltro, il vescovo monsignor Bartolomeo Lagumina, a tale nomina, era stato sollecitato da una rappresentanza della cittadina, soprattutto dall’amico Sac. Francesco Chiaramonte.
Il cronista del periodico agrigentino Il Cittadino, facendosi interprete dei sentimenti dei Riberesi, scriveva in quei giorni:
“Ribera tutta gode ed esulta con entusiasmo nuovo al nome del Sac. Nicolò Licata che, votato generosamente agli ideali di giustizia e di pace, ha compiuto una preziosa funzione a favore delle classi lavoratrici.
Egli, anima infaticabile di apostolo, nella virtù del sacrificio e del dovere, nell’immolazione perenne di ogni ora che fugge, nella negazione continua di ogni personale ed egoistico interesse, ha ritemprato il suo carattere adamantino per cui saprà, con intelletto d’amore, guidare e confortare Ribera a migliori e più degni destini nel campo religioso e morale” (22.5.1907).
La nomina ufficiale della Curia, ad Arciprete di Ribera, porta la data del 14 giugno 1907; tuttavia, ci vorrà ancora qualche mese prima di riuscire a disimpegnarsi delle sue tante mansioni a Sciacca e provincia, per poi trasferirsi nella sua nuova sede.
Domenica, 1° settembre 1907. Solenne ingresso di don Nicolò Licata, nuovo arciprete, nella sua Ribera.
“A mezzanotte del giorno precedente — scrive Domenico De Gregorio — cominciarono a suonare le campane e uno sparo gioioso di mortaretti svegliò la cittadinanza, che, preceduta dalla banda musicale, percorrendo le principali vie del paese, si recò in matrice dove il sac. Francesco Chiaramonte alle 3,30 celebrò la Messa e quindi una decina di carrozze e una cavalcata di più di 300 uomini si misero in cammino verso Sciacca.
Il novello Arciprete, circondato da un foltissimo stuolo di amici, accolse i suoi parrocchiani e poi con altra gente a cavallo, che man mano diventava sempre più numerosa, si avviò verso Ribera.
Presso il fiume Verdura si unirono alla cavalcata di Ribera e Sciacca quelle di Cattolica Eraclea, Montallegro e Calamonaci.
Il Sindaco di Ribera accolse nella sua carrozza l’Arciprete e si entrò così nella cittadina, in mezzo ad un indescrivibile delirio di popolo tra il suono delle campane, delle bande musicali e gli evviva interminabili del popolo (Profili di Sacerdoti agrigentini, p. 158).
E l’entusiasmo dei Riberesi non fu deluso. Infatti, ben presto sentirono parlare, dal loro nuovo arciprete, il linguaggio della libertà evangelica: l’usura, l’ingiustizia, la superstizione, lo sfruttamento, la sopraffazione, la violenza della ricchezza e del potere furono smascherati e condannati in nome di Gesù Cristo.
E la povera gente (il contadino e l’operaio, la massaia e la giovinetta che erano assidui alla sua Messa) si sentì rincuorata, incominciò a capire che al diritto della forza si può e si deve opporre la forza del diritto, che il Vangelo di Cristo e la Chiesa che lo annunzia non possono né devono costituire la legale copertura della prepotenza, ma la sua più terribile nemica.
L’arciprete Licata, perciò, fu amato e fu odiato per il medesimo motivo: annunziava il Vangelo nella sua genuinità, senza annacquarlo ad uso e consumo dei parassiti della società; lo annunziava come liberazione globale dell’uomo: per l’altra vita, ma anche per questa. Confutava così lo stupido slogan marxista della religione oppio del popolo. È questa infatti, la religione, che svegliò Ribera dal servilismo e dal fatalismo, dandole la coscienza della propria dignità e dei propri diritti.

(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)




L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 7

di Gerlando e Raimondo Lentini

Le elezioni amministrative del 1907 e del 1909

Domenica 28 luglio 1907. Elezioni comunali a Ribera.
“Le elezioni del 28 luglio segnarono per noi un vero trionfo del movimento cattolico, che si presentava per la prima volta.
La Cooperativa San Giuseppe volle affermarsi nettamente sui due nomi del Sac. Francesco Chiaramonte e del Presidente Coniglio. Le pressioni e le intimidazioni d’ogni colore per fare desistere la Cooperativa dalla deliberazione presa furono indicibili. Ma si stette come torre che non crolla per soffiare di contrari venti. Il paese ammirò questa decisione franca e risoluta e ne accompagnò con viva ansietà e simpatia lo svolgimento. La vecchia opposizione si astenne.
I nostri lavoratori (che avevano diritto al voto) lottarono pieni di coraggio e di entusiasmo. Non uno mancò all’appello o tradì la bandiera. Il risultato fu questo:
Vella dott. Gaetano voti 280, Samaritano Giuseppe 276, D’Angelo cav. dott. Giovanni 275, Turano cav. Antonino 268, Bonifacio cav. Leonardo 255, Ciccarello Pietro 254, Scalia Gioacchino 252, Abisso Giuseppe 248, Gueli avv. Giuseppe 248, Montalbano Giuseppe 235, Gatto Giuseppe 223.
Quest’ultimo ebbe lo stesso numero di voti del Sac. Chiaramonte, che per ragione d’età non entrò in Consiglio. Il sig. Coniglio riportò 188 voti. Intanto c’è fondata speranza dell’ingresso in Consiglio tanto del Sac. Chiaramonte quanto del Coniglio per l’ineleggibilità di alcuni eletti (come poi avvenne — n.d.R.).
Saputo il risultato, una dimostrazione pacifica ma imponentissima percorse il paese tra un delirio di applausi inneggianti alla Cooperativa” (Il Lavoratore, 1.9.1907).
Così il nostro Francesco divenne consigliere comunale, vediamo adesso la cronaca di una seduta consiliare riportata dal Lavoratore del 12.3.1908.
Domenica 5 aprile si è riunito il Consiglio comunale.
La seduta fu un poco movimentata perché vi parteciparono, per la prima volta, i due nuovi consiglieri: Il Sac. Francesco Chiaramonte e il Presidente della Cooperativa Giuseppe Coniglio.
Fu applaudita la dichiarazione del Sac. Chiaramonte, a nome dei tre Consiglieri del centro, di volere accettare il bene da qualunque parte venga e di combattere il male dovunque si trovi; e l’altra: di non volere essere l’eco della cosiddetta lotta di classe, ma i propugnatori della giustizia per tutti, senza privilegi per nessuno.
Dopo altre discussioni d’indole particolare, la seduta, diretta con soddisfazione generale dal Cav. Calogero Parlapiano, si chiuse tra i più svariati commenti.
In questi giorni, gli ingegneri inviati a Ribera da un gruppo di capitalisti lombardi per lo sfruttamento delle acque del fiume Verdura per un impianto idro-elettrico capace di dare luce a Sciacca e ad Agrigento, hanno continuato i loro studi nelle vicinanze di Putigiana”.

Due anni dopo si svolgevano le elezioni amministrative e don francesco Chiaramonte non vinceva, ma vediamo la cronaca riportata sul Lavoratore, del 22.10.1909.
Ribera, domenica 17 ottobre 1909. “Le elezioni amministrative si svolsero nella massima calma. La mobilitazione di soldati, carabinieri, delegati di P.S. e di questurini servì solo a renderle più solenni.
Non mancarono i soliti polpettari che si vendettero per cento, duecento e qualcuno — si dice — magari per quattrocento lire. Furono questi che decisero della vittoria insieme ad un voltafaccia che trapelò all’ultima ora.
La gran massa però votò fieramente per il partito del proprio cuore. Ammirevoli le Associazioni cattoliche che votarono con una compattezza e lealtà degne di una sorte migliore. Tra una massa di 140 soci elettori appena uno defezionò.
Il partito Parlapiano-Vella vinse per una cinquantina di voti; ed ha celebrato la vittoria con grandi feste e con lancio di palloni.
Dispiacque la caduta per pochi voti — dovuta all’ingenuità degli amici e alla furbizia degli… al…tri — del Sac. Chiaramonte che sarebbe stato, al municipio, vigile sentinella degl’interessi del popolo. E perciò contro di lui si accanirono maggiormente i nemici.
Ad ogni modo, speriamo che i nuovi Amministratori seguano la via diritta. Li attendiamo alla prova. E che presto possa funzionare l’Ospedale tanto desiderato!”.
Sullo stesso numero del Lavoratore l’arciprete Licata fa le sue riflessioni sulla presenza dei cattolici organizzati nelle amministrazioni comunali:
“Dopo i primi risultati incoraggianti ottenuti nel campo dell’organizzazione economico-sociale, viene l’assillo di tentare la lotta nel campo elettorale.
Il primo cimento ordinariamente avviene a bandiera spiegata e con tutto l’onore delle armi: programma ispirato ai principi sociali cattolici, onestà di mezzi, tattica intransigente. Nel Consiglio comunale si va a prendere posto sulla montagna e si combattono fieramente le battaglie della giustizia e dell’onestà. Applausi e inni.
Ma il potere è fatale. È come il vino che, pigliandoci gusto, porta diritto alla ubbriacatura. Prima di avere una forte base elettorale e, quello che è peggio, senza le persone capaci di rappresentare degnamente il partito, allucinati dal miraggio di diventare maggioranza, ci si getta in braccio ad uno dei partiti personalistici che infestano il paese per fare con esso causa comune. Si rinfodera a poco a poco la propria bandiera o se ne lascia al vento e alla pioggia solo qualche lembo, si chiude un occhio e magari tutt’e due sull’onestà, si accetta l’aiuto compiacente del deputato locale che ha tutto l’interesse a vincolarci; e così, trascinati dalla necessità della lotta, si fa una seconda edizione riveduta e scorretta dei sistemi deplorati negli altri partiti.
Il danno poi che da tale atteggiamento deriva all’organismo delle nostre associazioni è incalcolabile… Lo scopo principale per cui esse sorsero e funzionano subisce scosse e deviazioni dolorose. Ed ecco che si perde prima di vincere…
Le piante piccole o sporadiche che producono subito, durano poco come le zucche. Le piante grandi si formano lentamente, ma una volta formate, producono frutti copiosi, squisiti, duraturi”.


(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)




L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 8

di Gerlando e Raimondo Lentini

L’ospedale

Un’’altra importante conquista per Ribera fu la costruzione dell’ospedale per opera dei Parlapiano, ma la questione, a causa della morte dei fautori, si complicò, per cui bisognò fare delle manifestazioni per ottenerne l’apertura.
Ma vediamo tutte le notizie che ci dà il Lavoratore iniziando dal numero del 6.12.1903 dove leggiamo:
Notizie da Ribera. Il giorno 27 novembre 1903 è morto il Comm. Antonino Vella deputato al Parlamento per il Collegio di Bivona, uno dei più grossi feudatari della provincia.
Fece buona impressione la sua morte cristiana, dopo avere ricevuto i conforti religiosi. Però stonarono certe note durante il funerale, e presenti le Autorità Ecclesiastiche.
Si dice che abbia manifestato il desiderio di fondare un Ospedale: e sarebbe una cosa necessaria per Ribera”.
Che l’on. Antonino Parlapiano avesse l’intenzione di fondare l’Ospedale lo aveva manifestato qualche giorno prima di morire, il 16 novembre. Quel giorno, infatti, “giacendo in letto, ma nella pienezza delle sue facoltà”, fece testamento, nel quale tra l’altro si leggeva:
“Nomino e istituisco mio erede universale il mio diletto e amato fratello Carmelo Parlapiano… A lui raccomando e voglio che detragga una parte del patrimonio, che lascio alla di lui libertà determinare, per l’impianto e l’istituzione di un Ospedale in questo comune di Ribera, al quale desidero vivamente che dia principio lui stesso durante la sua vita”.
Il testamento fu ricevuto e scritto dal notaio Vincenzo Di Giovanni.
Pertanto, sul Lavoratore del 21.12.1903, a poco più di un mese dalla morte, si poteva leggere:
“Pare che il desiderio del defunto On. Comm. Antonino Parlapiano d’impiantare un Ospedale a Ribera vada realizzandosi. Il giorno 14 di dicembre, infatti, fu firmato l’atto di donazione d’un fondo del valore di 250 mila lire, destinato a questo scopo altamente umanitario. L’anno successivo possiamo leggere sul numero del 30.6.1904 del Lavoratore:
Ribera, giugno 1904. Il preannunziato Ospedale sarà quanto prima un fatto compiuto. È stato qui un ingegnere che scelse il luogo dove sorgerà e ne fece gli studi necessari. Si dice che il munifico Cav. Carmelo Parlapiano abbia ordinato di iniziare i lavori quanto prima. A sei mesi tutto vuole compiuto.
Che il Signore gli mantenga fermi così buoni e santi propositi!”.

Dunque quando il Chiaramonte e l’arciprete Licata iniziarono il loro ministero sacerdotale a Ribera era in costruzione l’Ospedale Fratelli Parlapiano.
Il Cav. Carmelo Parlapiano ne aveva iniziato i lavori, ma sopravvenuta la morte il 29 settembre 1907 lo lasciò incompleto. Poiché i due fratelli Carmelo e Antonino erano celibi, erede universale ne fu il nipote Antonino Vella, figlio della sorella Marianna Beatrice, che per loro volontà aggiunse, al cognome paterno, quello loro; si chiamò quindi Antonino Parlapiano-Vella. A lui passò allora il compito testamentario degli zii di ultimare la costruzione dell’ospedale. E siccome sembrava che non fosse proprio tanto sollecito, Il Lavoratore (e quindi il suo regista, l’arciprete Licata) non mancò di incalzarlo, come si legge sul Lavoratore del 12.3.1908
“Il popolo di Ribera, che tanto plauso fece ai fratelli Parlapiano, Antonino e Carmelo, per la costruzione dell’Ospedale, attende di fare plauso all’erede, Antonino Parlapiano‑Vella, per il sollecito adempimento della volontà dei defunti zii materni con l’allestimento ed inaugurazione della importante opera di beneficenza. Ma finora attorno al magnifico fabbricato cresce alta l’erba”.
Sul Lavoratore  del 25.10.1908 si batte ancora sul… doloroso problema dell’ospedale:
“E l’Ospedale?… Ma davvero bisogna aspettare il legale intervento dell’autorità tutoria per veder allestito l’Ospedale?
Per il buon nome della famiglia Parlapiano questo non dovrebbe avverarsi, tanto più che se fosse ancora in vita il Cav. Carmelo Parlapiano, così munifico e generoso verso i poveri, avrebbe a quest’ora aperto alla miseria e all’infermità tanto benefica istituzione.
L’Ospedale ormai appartiene al popolo, e ogni ulteriore dilazione nell’inaugurarlo è uno strappo ai diritti acquisiti della collettività.
Noi avremmo voluto tacere su di un argomento che tutti interessa; ma un senso profondo e squisito di bene e di giustizia ci spinge a compiere il nostro dovere senza guardare in faccia a nessuno. Ci sia dato, e questo è il nostro più fervido augurio, di parlare, tra breve, dell’Ospedale, ma per festeggiarne l’inaugurazione e per magnificarne l’opera benefica di carità e di salute!”.

Così la vertenza e le liti per l’ospedale continuano, infatti sul Lavoratore, del 15.12.1908 leggiamo:
Domenica 22 novembre 1908. Consiglio comunale. Una gran folla di popolo gremiva la sala e i corridoi; i consiglieri erano tutti presenti, eccetto il Barone Pasciuta, il Sig. Francesco Pasciuta di Gaspare, ed il signor Vito Valenti.
All’articolo dell’ordine del giorno «parere sullo Statuto per l’Ospedale presentato dal Sig. Antonino Parlapiano Vella» si iniziò l’importante discussione.
La parte dello Statuto che aveva determinato il proposito della battaglia vivacissima era quella riguardante il Consiglio di Amministrazione: 4 consiglieri su 7 dovrebbero essere nominati dal Sig. Antonino Parlapiano Vella, che ne deve essere il presidente vita natural durante; e dopo di lui, i suoi eredi in perpetuo.
Il consigliere Spinelli presenta una mozione d’incompetenza del Consiglio a dare il parere, che aveva richiesto il Prefetto.
L’avv. Bonifacio a questa mozione oppone una pregiudiziale: “il nessun diritto, cioè, del Parlapiano Vella a stabilire lo Statuto che deve regolare l’andamento dell’Ospedale”. Felicemente dimostra il suo assunto… tra le vivissime interruzioni da parte dei Vella, che hanno voluto trovarsi presenti ad una seduta, nella quale si discutevano interessi che direttamente li riguardavano.
Segue al Bonifacio il Sac. Francesco Chiaramonte, ascoltatissimo. Egli fa sua la pregiudiziale messa avanti dall’avv. Bonifacio e, commentando l’atto dell’assegnazione del vero fondatore dell’Ospedale Cav. Carmelo Parlapiano, dimostra il nessun diritto del Parlapiano Vella a stabilire lo Statuto. Questi è l’erede universale è vero, ma a lui in quanto tale non è stato conferito alcun diritto di porre delle riserve sullo Statuto…
Riferendosi poi all’articolo dello Statuto su cui non si sente di dare un voto favorevole, dice che egli è mosso da un desiderio di bene, e non da uno spirito di rappresaglia contro il Parlapiano Vella, a cui sarebbe disposto a dare tutti i diritti che vuole sua vita natural durante. Ma egli volge uno sguardo anche all’avvenire, ed afferma che l’avvenire dell’Ospedale è compromesso da questo articolo dello Statuto che sancisce l’arbitrio per l’erede del Parlapiano Vella, che con 5 consiglieri propri su 7 sarebbe il padrone dell’amministrazione.
— Chi ci dice — esclama il Sac. Chiaramonte — che i successori del Parlapiano Vella saranno padri e non tiranni dei poveri?
A causa di questo articolo inoltre egli vede compromessa la prosperità finanziaria dell’Ospedale, perché nessuno si permetterà di compire atti di liberalità, il cui uso viene affidato alla esclusiva volontà di una sola persona. Per ragione di giustizia poi, egli chiede che il comune non sia escluso dall’avere la sua rappresentanza nell’amministrazione, poiché esso all’Ospedale ha concesso circa 20.000 lire di terreno fabbricabile, e quindi ha il diritto di controllare come venga amministrato il suo denaro.
Conchiude con una calda esortazione al Parlapiano Vella perché, ponderando le sue ragioni, voglia, eliminando ogni questione di diritti o meno, accettare la proposta di modificare questo articolo dello Statuto, pur riservando a lui tutti i diritti che vuole.
Al Sac. Chiaramonte segue il Prof. Liborio Friscia il quale inneggia ad Antonino Parlapiano Vella, e si dichiara a lui favorevole. Ribatte le parole del Friscia il Sac. Chiaramonte. Il Cav. D’Angelo impressiona fortemente tutti con una dichiarazione recisa contro il diritto del Parlapiano Vella a presentare lo Statuto.
Si passa ai voti, e tanto la pregiudiziale quanto la mozione d’incompetenza non raggiungono la maggioranza dei voti dei consiglieri presenti.
La seduta per l’ora tarda viene rimandata. Per la storia è giusto sapere che votarono a favore del diritto del Parlapiano Vella: Dott. Gaetano Vella, Domenico Parlapiano, Carmelo Spinelli, Gaetano Sabella, Ignazio Parisi, Giovanni Orlando, Giuseppe Abisso, Antonino Turano, Pietro Simonaro, Rosario Vesco, Pietro Ciccarelli, Prof. Liborio Friscia.
Il Sac. Francesco Chiaramonte fece inserire nel verbale formale protesta per l’intervento nella votazione dei parenti dell’interessato”.

Ospedale prossimo ad aprirsi. Il 4 dicembre 1917 l’arciprete Licata scriveva alla Superiora Generale delle Serve dei Poveri, lui che faceva parte del Consiglio di Amministrazione ed aveva redatto il Regolamento interno dell’ospedale:
“Rev.ma Madre, in ospedale le cose più urgenti sono pronte: locali, letti, acqua, cucina, un po’ di cibaria. Il resto si verrà sistemando colla presenza delle Suore, che verranno zitte zitte, evangelicamente, con la fiducia che il Signore darà alla loro opera il maggiore incremento. Potrebbero portare da Palermo un po’ di medicinali di disinfezione.
Attendo, o meglio attendiamo il telegramma del loro arrivo. Pigliando la corsa delle 5 del mattino da Palermo (che è l’unica per arrivare a Ribera) e scegliendo la vettura che arriva sino a Porto Empedocle, qui poi passeranno nel treno che verso mezzogiorno parte ed arriva a Ribera verso le ore 15.
Nel nome del Signore. Devoti ossequi. Sac. Nicolò Licata”.
Leggiamo nella Cronaca delle Serve dei Poveri del 1917:
“La mattina del 6 dicembre la Superiora Stefanina Bonifacio, suor Clelia Acquisto, suor Eletta Buttitta, suor Orsolina Cassano partono (da Palermo) per Ribera, per aprirvi un ospedale.
Sono freddamente accolte; e l’ospedale che doveva aprirsi il giorno dell’Immacolata non si inaugura. Mancano molte cose, e anche il fabbricato è un po’ disagiato: è stato disabitato e vi hanno preso stanza i topi che, la prima notte, rosicchiarono le scarpe della Superiora e di suor Orsolina. Dalla Casa Madre si dovettero provvedere subito nuove calzature”.
L’accoglienza fredda non fu certamente da parte dell’arciprete Licata il quale, dopo alcuni giorni, il 14 dicembre, tornava a scrivere alla Superiora Generale:
“Rev.ma Madre, torno a ringraziarLa della carità fatta a questo paese.
La presenza delle Suore è provvidenziale per il più sollecito funzionamento di questo Ospedale, che deve aprirsi da 12 anni. Ottima anche la scelta delle Superiora.
In Gesù Signore nostro. Dev.mo Sac. Nicolò Licata”.





L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 9

di Gerlando e Raimondo Lentini

Il nuovo prospetto della Chiesa Madre

Nel 1906, meno di un anno prima che fosse nominato arciprete di Ribera don Nicolò Licata, il sac. Francesco Chiaramonte pubblicava un opuscolo intitolato: Ribera verso l’avvenire. A proposito della chiesa madre scriveva:
“La Madrice sorge in punto principale del paese, dominando l’unica e ridente piazza, ove nelle grandi occasioni di risveglio collettivo è solito riunirsi il popolo per far sentire la voce delle sue legittime aspirazioni. Maestosa è l’ampia volta che la ricopre, grandiose nella loro semplicità le colonne che la sorreggono, magnifica nello assieme delle tre ampie navate, inondate di aria e di luce da spaziose e innumerevoli finestre.
Però, contrasto stridente con questa semplicità meravigliosa di linee, con questa bellezza indescrivibile di proporzioni, è il prospetto appena cominciato dagli avi, reso mostruoso dall’azione lenta ma continua del tempo, distruttore e divoratore dell’opera umana.
Or non è molto, una voce entusiasta e sincera si è intesa per sollevare tutti in uno sforzo generoso della propria volontà per realizzare il sogno di coloro che ci precedettero, per testimoniare ai venturi che la fede degli avi fu l’eredità gelosamente raccolta e custodita anche nei grandi dolori del nostro popolo; ma questa voce veniva disgraziatamente soffocata dal sopravvenire di imprevedute circostanze.
Questa nobile idea, che per un momento parve seppellita definitivamente, risorge oggi per opera di alcuni generosi, compresi dell’urgente bisogno di restaurazione. Ed io sinceramente mi auguro che tutti, sia come cittadini, sia come cattolici, efficacemente si adoperino per la riuscita di questa impresa: perché cittadini si à il dovere di compire un’opera che è una degna corona dell’edificio più importante di cui va superbo questo paese; perché cattolici non possiamo non raccogliere tutte le nostre energie per il decoro del Tempio del Signore, ove nelle grandi gioie, nelle date memorande, nei momenti trepidi della vita, si raduna il popolo, non trascinato dal calcolo distruttore dei più fulgidi ideali, ma dal sentimento puro di quella fede che solleva l’uomo all’eroismo della virtù per spingerlo verso i sereni orizzonti di un’avvenire di pace, di amore, di felicità”.
L’arciprete Licata fece subito sua l’aspirazione del popolo di dare decoro alla sua matrice, e sarà lui a realizzarla.
Ecco una delle iniziative pro-Chiesa Madre che leggiamo sul Lavoratore del 12.2.1908: “Ribera. “La Compagnia Lelio-Franzoni rappresentò ammirevolmente il Martorio a beneficio del prospetto della Matrice, di cui in primavera si spera incominciare i lavori. La cittadinanza rispose con slancio unanime all’invito dell’Arciprete.”
Un’altra notizia sull’inizio dei lavori l’abbiamo sul Lavoratore del 12.4.1908: “Il 25 marzo, festa dell’Annunciazione di Maria, si inaugurò il trasporto dei primi materiali per i restauri della Matrice. Tutto il popolo di Ribera vi prese parte con grande slancio ed entusiasmo al suono festante della musica e delle campane e tra lo scoppio giocondo di razzi e di petardi. Quando l’Arciprete ringraziò il popolo, molti piangevano per la commozione.”

Ribera, 24 aprile - 3 maggio 1915. Sacra visita, scoprimento della facciata della Matrice, Congresso Eucaristico.
Sabato, 24 aprile. “Alle ore 11 il vescovo Mons. Bartolomeo Lagumina partì da Agrigento in carrozza, accompagnato dal Can. Cardella Cancelliere vescovile e dal Can. Di Puma Segretario vescovile, alla volta di Ribera, ove si pervenne alle ore 17,30.
Vennero ad incontrare Mons. Vescovo i Rev.mi Arcipreti di Ribera col suo clero, di Calamonaci, di Lucca, di Villafranca e il Sac. Francesco Chiaramonte, Arciprete di Marsala.
Alle porte del paese si fece trovare una grande folla di fedeli acclamante entusiasticamente Mons. Vescovo il quale, sceso dalla carrozza ed ordinata la processione, si avviò per la Matrice, ove si ricevette la benedizione eucaristica impartita dall’arciprete Licata; indi si ritirò a casa della Sig.ra Donna Stefania Lo Cascio vedova Parlapiano la quale, per quei sentimenti di pietà che altamente l’onorano, mise a disposizione di Mons. Vescovo tutto il suo palazzo” (Libro delle Sacre Visite, Curia Vescovile, Agrigento).
“Il Vescovo — aggiunge Il Lavoratore — fu accolto trionfalmente dal popolo, con la musica e gli stendardi delle Associazioni, tra evviva, battimani e getto continuo di fiori. Dopo la benedizione eucaristica in Matrice, al palazzo della sig.ra Stefania Parlapiano Lo Cascio, disse entusiastiche parole l’Arciprete Licata” (30.5.1915).
Domenica, 25 aprile
Ore 8. “Parallelamente all’opera delle benemerite Madri Cristiane, che hanno superato il numero di mille, si va sviluppando in Parrocchia la Congregazione dei Padri di Famiglia sotto il patrocinio San Giuseppe. Fregiati della coccarda, alle ore 8 del 25 aprile, rilevarono in bell’ordine Mons. Vescovo dal palazzo alla Matrice per assistere alla santa Messa; si comunicarono, dopo avere ascoltato da Lui belle parole di alto incoraggiamento. I padri di famiglia erano proprio molti, e faranno tanto bene.
Dopo ebbe luogo la commovente cerimonia della vestizione del primo seminarista riberese, dopo tanti anni: il giovane Cufalo Vincenzo di Domenico. Alle parole d’occasione dette dall’Arciprete molti piangevano.
Ore 11,30. Santa Messa solenne celebrata dal Can. Cardella e cantata bellamente dalla Schola cantorum, diretta dal Sac. Marino Michele; all’omelia parlò il Sac. Gaspare Messina” (Il Lavoratore, n.c.).
“Terminata la santa Messa, Mons. Vescovo assistette allo scoprimento della nuova facciata della Matrice, per la quale occasione tenne un discorso l’Arciprete di Marsala Sac. Francesco Chiaramonte, appositamente invitato dall’Arciprete di Ribera Sac. Nicolò Licata” (Libro Sacre Visite).
“La pioggia — leggiamo sul Lavoratore — fattasi dirotta diede tempo, dopo la funzione in chiesa, di fare l’inaugurazione della nuova facciata, tra spari di gioia e suoni trionfali” (30. 5.1915).
Congresso Eucaristico.
Martedì 27 — al mattino, apertura e congresso in varie sezioni; al pomeriggio, adorazione del Divinissimo e discorso di occasione.
Mercoledì 28 — al mattino, Santa Messa e Comunione generale; poi tutto come il giorno precedente.
Giovedì 29 — al mattino, Messa e Comunione dei fanciulli e conclusione del Congresso; al pomeriggio, preghiera per la pace e processione del Divinissimo con lo schieramento dei paggetti del Santissimo Sacramento.
“L’omaggio a Gesù Sacramentato, nei tre giorni del Congresso, riuscì assai commovente e fruttuoso di grazie divine. Quante Comunioni! quante elevazioni cristiane! La Comunione ai fanciulli fatta da Mons. Vescovo durò più di due ore. Che spettacolo angelico! La processione della sera, una cosa mai vista! Basti dire che l’inno Noi vogliam Dio! fu cantato in piazza da circa 700 tra fanciulli e fanciulle bianco vestiti” (Il Lavoratore, 30.5.1915).
“Resterà memorabile in Ribera — leggiamo sul Bollettino Ecclesiastico — il 25 aprile 1915 in cui ebbe luogo lo scoprimento del nuovo artistico prospetto di quella Chiesa Madre, frutto di grandi sacrifici del Rev.mo Arciprete Don Nicolò Licata, al cui zelo operoso ed instancabile si deve il consolante risveglio religioso di quel Comune, ove fioriscono tante belle opere di attività e di propaganda religiosa.
Pubblichiamo pertanto con vivo compiacimento i due telegrammi, la cui lettura, durante la solenne cerimonia, suscitò nei cuori un’onda di sacro entusiasmo:
Agrigento 21 aprile 1915
Cardinale Gasparri Segretario di Stato - Roma
Occasione sacra Visita si scoprirà Ribera nuova facciata Madrice Chiesa e si celebrerà Congresso eucaristico. Pregheremo per Santo Padre e per la pace..
Imploro apostolica benedizione. Bartolomeo Vescovo.

Roma 25 aprile 1915
Santo Padre, grato per preghiere e per omaggio resoGli circostanza inaugurazione facciata Chiesa Madrice Ribera, imparte di cuore V.S. Clero Fedeli Parrocchia speciale benedizione apostolica facendo voti che splenda sempre anche nel vivo tempio dell’anima l’opera della divina grazia.
Cardinale Gasparri Segretario di Stato. 

Dopo qualche anno dall’inaugurazione, fu pubblicato un opuscoletto: Prospetto CHIESA MADRE di RIBERA — Resoconto.
“Ribera — leggiamo nella introduzione —, sorta verso il 1628, ebbe, come prima chiesa, un vecchio fabbricato con una torricella che funzionò da campanile, esistenti nel piano Sant’Antonio ed ora diroccati.
La prima Madrice, fabbricata nella piazza omonima, cedette il posto all’attuale più vasta e più bella, aperta al culto nel 1760, ma rimasta imperfetta, con un prospetto provvisorio sconcio e pericolante.
Verso l’ultimo periodo dell’arcipretura Vaccaro si fu sul punto d’iniziare i lavori. Il Cav. Carmelo Parlapiano aveva promesso il suo contributo con quello di altri cospicui cittadini, mentre il Comune, con deliberazione del 30 dicembre 1902, assumeva l’impegno di concorrere alla spesa. Ma tutto svanì come il materiale di grossi conci accumulati nella piazza.
L’idea patrocinata sempre dalla veneranda Sig.ra Stefania Lo Cascio vedova Parlapiano, riagitata dal Sac. Chiaramonte Francesco ora arciprete di Marsala, prese consistenza con la venuta dell’Arciprete Licata che ne assunse impegno solenne dinanzi al popolo.
Raccolte le prime adesioni, si diè mano all’opera. Il 3 Aprile 1912 si firmò il contratto di appalto con i fratelli Giuseppe, Onofrio e Filippo Abisso. Il 28 dello stesso mese, festa del patrocinio di San Giuseppe, venne benedetta solennemente la prima pietra. Su disegno dell’Ing. Pietro Mortignoni, che prestò generosamente l’opera sua, e sotto la direzione del Prof. Cesare Chiaramonte, incominciarono i lavori.
In casa c’erano poche somme e per fare fronte ai crescenti pagamenti si ricorse al credito della Cassa Rurale che bonificò, come sua offerta, i relativi interessi. Nel giugno dell’anno seguente, 1913, l’arciprete Licata si recava a New York per una colletta tra i Riberesi emigrati.
Il popolo, dinanzi al sorgere dell’opera vagheggiata, non mancò di portare il suo contributo. Ma era l’obolo dei poveri perché le quote degli abbienti — salvo lodevoli eccezioni — mancarono all’appello.
Il 25 Aprile 1915, alla presenza del vescovo Mons. Bartolomeo Lagumina, delle autorità cittadine e di tutto il popolo plaudente, fu scoperto ed inaugurato il nuovo prospetto: pregiata opera d’arte, decoro della chiesa ed onore di Ribera. Celebrò l’avvenimento con entusiastica parola l’arciprete Chiaramonte.
Il sogno era finalmente realtà.
I contributi raccolti, tutti registrati, furono pubblicati, sino alle quote minime, in chiesa e sul giornale Il Lavoratore 1913-1916. Così quelli degli emigrati, che inoltre vennero pubblicati sul giornale L’Italiano in America.
I Sig.ri Michele e Pietro Spallino, Francesco Vizzolo, Anselmo Guastella e Francesco Termini assistettero il parroco nella colletta fatta a New York e dintorni. Degna di menzione la colonia riberese di Elizabeth N.J. Quasi tutti diedero il loro obolo di un dollaro che allora valeva 5 lire. Ci furono poche offerte di maggiorenti di 10 dollari.
La colletta non si spinse ad altri centri perché i Riberesi sono sparpagliati in diversi punti assai distanti. Il parroco ottenne gratuitamente il viaggio per mare come cappellano di bordo, per l’interessamento di Mons. Giuseppe Sacco e fu ospitato generosamente dal parroco Pasquale Maltese e dai Padri Salesiani.
In Ribera si distinsero il Comitato per la raccolta del frumento e quello delle Dame di Carità. Ognuno portò la sua pietruzza. Alcune anime generose — quelle che si trovano sempre in ogni opera buona e preferiscono comparire nel libro di Dio — si profusero ammirevolmente. Siano benedette! E sia benedetta Ribera che volle e seppe realizzare il completamento del suo maggior tempio” (Ribera, Tip. Il Lavoratore, G. Ciliberto, 1929).
Bisogna sottolineare che la nuova facciata della Matrice fu opera di popolo; nell’elenco degli offerenti mancano realmente i nomi dei ricchi riberesi, come si può vedere dall’elenco, anche se sommario, che riportiamo:
£ 5.210 Cassa Rurale; £ 3.000 Comune di Ribera; £ 2.161 Congr. Madri Cristiane; £ 1.316 Raccolta frumento; £ 1.100 Sig.ra Lo Cascio Stefania; £ 750 Simonaro Vincenzo e Figli; £ 551 Ricavato sorteggio coperta; £ 500 Cooperativa San Giuseppe, Arciprete Licata; £ 412 Lotteria; £ 271 Salvadanai; £ 235 Termini Giovanni; £ 223 Contributo Clero; £ 210 Sig.ra Castagna Giuseppa; £ 200 Mons. Vescovo di Agrigento; £ 200 Dame di Carità; £ 190 Ricavato rappresentazioni teatrali; £ 150 Ciccarello Carmelina.
I Riberesi emigrati contribuiscono con offerte di £ 150, 75, 50 e 25.
La spesa totale della facciata e dei restauri fu di £ 43.699,25; le entrate £ 31.622.00; il deficit £ 12.077,25.

(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)



L’ARCIPRETE FRANCESCO CHIARAMONTE - 10

di Gerlando e Raimondo Lentini

Francesco Chiaramonte fonda un nuovo periodico: La Sentinella

15 gennaio 1908. Don Francesco Chiaramonte, in perfetta sintonia ideale e pastorale con l’arciprete Licata, fonda a Ribera il periodico LA SENTINELLA, il cui primo numero porta appunto questa data. Sul frontespizio, a sinistra, è scritto: Né oppressi, né oppressori!; a destra: Proletari di tutto il mondo, unitevi in Cristo! Esce la I e la III domenica d’ogni mese; direzione e amministrazione Via Vespri Siciliani (oggi via Roma) N. 6 — Ribera; gerente responsabile è Giuseppe Puglisi; si stampa in Agrigento presso la Tip. Dima. Ecco la presentazione che ne fa lo stesso Chiaramonte:
“Da queste plaghe occidentali della nostra provincia, dai nostri monti superbi degradantisi dolcemente verso una marina incantevole viene fuori la nostra SENTINELLA, ardita… serena… promettente di vita…
Queste doti che formano il suo orgoglio e la sua ragione di essere, non s’infrangeranno mai al sopravvenire di lotte aspre e tenaci, al risveglio di rabbia velenosa e di spirito settario.
LA SENTINELLA resterà sempre ferma al suo posto, vigile custode della consegna ricevuta: difesa ad oltranza della fede cattolica. Lavorio incessante perché l’avvenire arrida non ad una demagogia atea e scamiciata, non ad un’accolta di uomini legati da interessi e tornaconti inqualificabili, ma alla democrazia vivificata dallo spirito del Vangelo, a persone dominate da quell’ideale umano che l’interesse particolare fa coincidere con quello generale della collettività.
E come la sentinella della caserma non transige un momento a gridare l’alto là al violatore della consegna, sia esso un soldato oppure un generale, così anche la nostra SENTINELLA non tentennerà un solo istante per far sentire il suo alto là agli sfruttatori dell’ideale popolare, agli assassini della coscienza cristiana, ai briganti delle campagne… morali”.
In seconda pagina si leggono parole augurali All’arciprete Nicolò Licata; una sintesi: 
“All’inizio dell’anno novello torna a noi gradito indirizzare a voi una parola per dire: Son passati tanti mesi dalla sua nomina, ma non son passati e non passeranno mai l’affetto, la devozione, l’attaccamento devoto del popolo di Ribera al suo Padre, al suo Pastore… 
Voi che già conoscete la sua anima nobilmente fiera e rudemente nobile, voi che di essa portate impressi i caratteri perché figlio del popolo, cuore di marinaio, voi certamente saprete apprezzare la bellezza della nostra manifestazione e non mancherete di raccogliere il sentimento fervido di un popolo che a mezzo nostro getta su di voi un mazzo di fiori olezzanti. Per voi oggi imploriamo la benedizione di Dio, la luce della vita, il calore dell’apostolato, il moto dei grandi desideri della nostra restaurazione”.

Ancora sul Lavoratore del 2 giugno scriveva don Nicolò Licata:
“Per cura del fervente e valoroso commilitone Sac. Francesco Chiaramonte, si sono pubblicati parecchi numeri della SENTINELLA la quale corre qua e là, nei diversi punti della provincia, dove urge la sua vigilanza ed il suo grido di guerra.
Il giornale è fatto con molta vivacità e praticità. Congratulazioni ed auguri.
Avvertiamo intanto che la Redazione e l’Amministrazione della Sentinella è distinta e separata da quella del Lavoratore”.

(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)


(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)




L’ARCIPRETE FRANCESCO CHIARAMONTE - 11

di Gerlando e Raimondo Lentini

La Società Agraria San Giuseppe e il Segretariato del Popolo

Mentre l’arciprete Licata fondava la sua Cassa Rurale, il battagliero padre Chiaramonte faceva, sulla sua Sentinella, quello che egli intitolava Bilancio morale d’un anno di attività della gloriosa Società Agraria San Giuseppe, che per suo impulso era stata rifondata un anno prima: il 2 giugno 1907 con atto rogato dal notaio Giovanbattista Amenta; cambiò anche nome: da Cooperativa di Lavoro diventava Società Agraria.
“Una delle più fiorenti Cooperative della Provincia — egli scriveva — è la Società Agraria San Giuseppe della nostra Ribera, (la cui sede è in via Castelli). Nel cammino di un anno ha saputo fare progressi immensi seminando un gran bene in mezzo a questa popolazione…
Non per vanità stupida ed inconcludente, ma perché sia d’incoraggiamento a noi ed a quanti lavorano con sincerità nella nostra diocesi, presentiamo oggi il bilancio morale di questa associazione.
Intensamente ostacolata da avversari implacabili nell’affitto di alcuni feudi, ha saputo così fieramente lottare fino al punto di vincere strepitosamente con l’affitto collettivo e diretto di 400 salme di terra. A chi conosce le tristi condizioni dei paesi, ove il latifondo si estende pauroso come una piovra malefica, non può sfuggire l’importanza di questa operazione, a cui si collegano non solo rilevanti rivendicazioni economiche, ma ancora le più sacre libertà della coscienza del nostro popolo.
Sempre allo scopo di assicurare al proletariato la sua libertà, senza della quale non è possibile la sua elevazione, deliberò per i soci il servizio sanitario con medico proprio, il valorosissimo Dottor Salerno, a cui dà uno stipendio annuo di £ 3.000 (tremila). È inutile dire quanto vantaggio se ne sia ricavato: basta solo sapere che ogni lavoratore con l’annuo contributo di £ 7,50 ha il servizio sanitario per tutta la sua famiglia.
Il 1° settembre dell’anno passato quest’Associazione, attorno alla quale si strinse tutto il popolo di Ribera, glorificò uno dei più ardenti figli della Chiesa nel suo ingresso come novello Arciprete, il Sacerdote Nicolò Licata. Quella dimostrazione costituì per Ribera un avvenimento grandioso, che non potrà mai essere dimenticato.
Il 28 luglio 1907, poi, segna la data di una delle più gloriose rivendicazioni di uno dei più incontestabili diritti della massa proletaria. I soci di questa Cooperativa, costituitasi in Circolo elettorale, vollero dar prova solenne del cammino fatto nella via della libertà…
La lotta fu aspra: una potente coalizione si determinò tra gli avversari; ma i nostri si batterono coraggiosamente, resistettero a tutte le minacce, respinsero tutte le intimidazioni e vinsero mandando in Consiglio comunale i propri rappresentanti nelle persone del Sac. Chiaramonte e di Giuseppe Coniglio. Il primo degli avversari ebbe 270 voti, il primo dei nostri 223.
Tra i progressi fatti ancora da questa Società agraria San Giuseppe è da annoverare la sua costituzione in ente intermediario per il Credito agrario col Banco di Sicilia.
Questo è il lavoro di un anno. Questi risultati così fiorenti si devono alla rinnovata coscienza dei nostri lavoratori, allo spirito di solidarietà che li anima, al disinteresse ammirevole dei componenti il Consiglio direttivo, al sacrificio di Giuseppe Coniglio, impareggiabile figura di Presidente”.
La relazione è firmata: Il bersagliere; La Sentinella è del 10.5.1908.

“Domenica, 13 settembre 1908, è stato solennizzato l’anniversario della venuta dell’Arc. Licata tra noi con l’inaugurazione del Segretariato del Popolo, dovuto all’impegno del Sac. Chiaramonte.
Un popolo intero si riversò dietro i soci della Cooperativa con musica e bandiera, per inaugurare i nuovi locali dai quali tanto il Sac. Chiaramonte che l’Arciprete, chiamati insistentemente dalla folla, furono costretti a parlare dal balcone invece che nella sala come era stato stabilito. Grande entusiasmo.
Poi nei locali della Cooperativa dove si ritornò, l’Arciprete fece un po’ di bilancio della sua gestione parrocchiale.
Tra i più grandi applausi si chiuse la bella festa” (Il Lavoratore, 15.9.1908).

2 novembre 1908. “Quel giorno sacro agli affetti più delicati, la Società agraria San Giuseppe, così benemerita del progresso del nostro paese, fece una solenne affermazione di quei nobili ideali che formano la sua forza e la rendono sicura del suo avvenire. Preceduta dalla musica Castagna con bandiera abbrunata ed una magnifica corona, essa mosse dalla propria sede per compiere un pio e devoto pellegrinaggio al Cimitero.
Il corteo lungo, ordinato, silenzioso, imponente assai si avviò lentamente, mentre tutta Ribera seguiva i nostri soci nella grandiosa manifestazione di pietà e di dolore.
Giunti al Camposanto, l’arciprete Licata, con un discorso improntato ai sensi più elevati di solidarietà con gli estinti, commuove i cuori di tutti e fa scorrere abbondanti lacrime. Indi tutto il popolo assiste alla Messa.
In ultimo si passa al sorteggio di un legato per un un’orfanella disposto dalla nuova Pia Unione delle Anime del Purgatorio, che si deve allo zelo e all’attività della buona donna Antonia Perricone. La sorte favorisce l’orfanella Conti Calogera fu Antonino.
La commovente funzione viene coronata da poche parole del Sac. Chiaramonte, che invita alle lacrime e alla preghiera per quei cari fratelli che, allontanatisi da Ribera per un tozzo di pane, trovarono in America una tomba, che si dischiuse senza l’ultimo bacio della mamma, della sposa, dei figli…
La dolcissima festa lasciò nell’anima di tutti una gratissima impressione… E noi vivamente ci congratuliamo con la Società agraria San Giuseppe, con l’ottimo Presidente Coniglio e i soci tutti i quali ogni anno compiono un pietoso pellegrinaggio, che è l’espressione viva della solidarietà e dell’amore che li lega ai trapassati” (ivi).


Il 28 marzo 1909, alle ore 9 l’assemblea della Cassa Rurale San Nicolò, presieduta dal presidente Ignazio Ganduscio, decide la sua estinzione e nomina i liquidatori; alle ore 14 l’assemblea della Cooperativa di Lavoro San Giuseppe, presieduta dal presidente A. Cufalo, decide la sua estinzione e nomina i liquidatori. L’invito ai soci per queste assemblee è pubblicato sul Lavoratore del 21 febbraio 1909.
A questo punto rimangono in vita, florida e solida, due istituzioni: la Società Agraria San Giuseppe, sostenuta ed educata dal Sac. Francesco Chiaramonte e la Cassa Rurale, saldamente ancorata alla forte personalità dell’arciprete Nicolò Licata il quale, ben presto (come vedremo) fonderà, ad integrazione delle due istituzioni, un Consorzio Agrario, comunemente detto Cooperativa Agricola. Pertanto, i due uomini di Dio e le relative istituzioni agivano in perfetta armonia per la gloria di Dio e il bene del popolo, soprattutto dei contadini e degli operai. Non risulta, peraltro, che al di fuori dell’area cattolica ed ecclesiale ci fossero delle istituzioni similari, sino a dopo la prima guerra mondiale.


(Le notizie sono tratte dal libro, in corso di pubblicazione, sulla biografia dell’arciprete Nicolò Licata di don Gerlando Lentini)




L’ARCIPRETE FRANCESCO CHIARAMONTE - 12

di Gerlando e Raimondo Lentini

4.10.1908. A Ribera scoppia la rivolta

4 e 11 ottobre 1908. LE GRAVISSIME AGITAZIONI DI RIBERA.
“In questi giorni Ribera, la tranquilla, la pacifica, la incantevole Ribera, è stata funestata da seri turbamenti. La causa dei dolorosi avvenimenti è semplicissima. Molti anni addietro il Comune concedette parte delle terre, che costituiscono il suo patrimonio, alla povera gente per fabbricare, imponendo per ogni mq un canone di £ 1,25. Canone fortissimo, se si considera che le terre ove sorgono queste umili casette hanno un meschinissimo valore…
Intanto, per trascuratezza delle amministrazioni passate (trascuratezza giustificata da un alto senso di pietà), ora che il Comune è stato obbligato dall’Autorità tutoria all’esazione dei censi, ha dovuto nientedimeno domandare le ultime cinque annualità, il cui pagamento costituisce un vero fallimento per la povera gente. Da qui le agitazioni.
Domenica 4 ottobre. Mentre nell’ufficio del Sindaco si trovano il Cav. Calogero Parlapiano, il Barone Turano, l’avv. Gueli, il sig. Firetto ed il Segretario Chiaramonte col Delegato di Pubblica Sicurezza Soldani, che, arrivato la sera precedente, faceva la visita regolamentare alle autorità, i corridoi, le scale e la piazza vennero invase da una folla tumultuante e che gridava: Abbasso i censi! Non mancò il tentativo di abbattere la porta dell’ufficio del Sindaco, e si sarebbe riusciti se l’energia del novello Delegato non avesse saputo resistere fino all’arrivo dei carabinieri che, sfoderate le sciabole, a piattonate fecero sfollare i locali del Municipio.
Nella piazza però la marea ingrossava, le grida diventavan più forti, mentre una popolana agitava la bandiera rossa.
Le autorità poterono allontanarsi con la protezione dei carabinieri, mentre la folla tumultuante attraversava Corso Umberto I sempre al grido di: Abbasso i censi!
Dopo un’ora la dimostrazione si sciolse; ma il guanto di sfida era già stato lanciato.
Sabato 10 ottobre. Il Consiglio comunale si riunisce in seduta ordinaria. Il Prosindaco Cav. Parlapiano, tenendo conto della grave agitazione della precedente domenica e del bisogno che ha mosso tanta povera gente fino a trascendere nei lamentati disordini, propone che il Consiglio deliberi l’esenzione del pagamento dei censi dovuti da parte di quelli che posseggono solamente una casetta… 
S’ingaggia una forte ed animatissima discussione, a cui non prende parte l’opposizione perché… assente.
Il Sac. Chiaramonte appoggia la proposta del Sindaco, ed aggiunge la proposta di concedere agli altri la facoltà di avere ridotto il censo a un prezzo umano.
Il Dottor D’Angelo dice che con queste proposte s’inganna il popolo, perché il Consiglio comunale non può rinunziare ai diritti del Comune, che ha il dovere di rispettare. Il Prof. Friscia non è di questa opinione, e dice che bisogna venire ad un Provvedimento. L’avv. Bonifacio si associa alle riflessioni del Dottor D’Angelo. Il consigliere Sac. Chiaramonte insiste perché si provveda in maniera da tenere in considerazione le ragioni dei poveri.
La discussione si accentua, le voci si moltiplicano, la confusione cresce e la seduta si scioglie senza concludere alcun che.
Domenica 11 ottobre. A mezzogiorno due ragazzi scendono per il corso Umberto con due bandiere rosse, che il Delegato di P.S. spezza. Poco dopo è una donna che scende con una bandiera tricolore in mano; e subisce la medesima sorte. Dinanzi al Municipio intanto si va costituendo un bel nucleo di persone le quali, eccitate dallo strappo delle bandiere, ne trovano altre due, attorno alle quali si stringono al grido: Abbasso il Consiglio comunale!
Il Delagato di P.S., il quale non può avere l’aiuto che di due soli carabinieri, tenta, in verità senza nessuna prudenza, di impadronirsi di queste due bandiere e vi riesce e le spezza; ma la folla, a quest’atto che in nessuna maniera possiamo approvare, lo stringe insieme ai due carabinieri, facendogli correre un gravissimo e serio pericolo, dal quale poté liberarsi per aver trovato il momento opportuno di tirare lo stocco e girarlo per farsi largo. I carabinieri sguainarono le sciabole e si formò un cerchio nel quale restarono chiusi il Delegato ed i carabinieri, costretti a girare continuamente le loro armi per tenere a distanza la popolazione, la quale si faceva sempre più fitta per l’intervento di moltissimi che si trovavano ad assistere all’ultima Messa.
Fortunatamente, dopo un po’ di tempo, sopraggiunge il Tenente signor Perfetti con una dozzina di carabinieri e si poté formare il quadrato dietro il quale faceva ressa una folla immensa, che reclamava a qualunque costo ed in preda a grande eccitazione le bandiere strappate.
A questo punto sopraggiunge il Sac. Chiaramonte il quale, con buone parole e promettendo uno speciale interessamento, li persuade a sciogliersi. E la giornata finisce non senza lasciare una grande preoccupazione nell’animo di coloro che vogliono assicurare la pace al paese.
Di fronte a questa gravissima situazione il Sindaco Cav. Parlapiano convoca per i necessari provvedimenti il Consiglio comunale per il giorno 14, mentre il Delegato, giustamente preoccupato per i possibili disordini, chiama rinforzi, che arrivarono la mattina del mercoledì.
Mercoledì 14 ottobre. Il Consiglio comunale si riunisce alle ore 20.30 perché qualche consigliere ritarda. Questa volta l’opposizione è al suo posto.
Aperta la seduta, il Sindaco, a nome dell’amministrazione, propone che, in considerazione dei bisogni di tanta povera gente e la pace che il paese ha interesse di vedere assicurata, il Consiglio deliberi di condonare le annualità ai debitori morosi eccetto quella corrente che devono obbligarsi a pagare.
Il consigliere d’opposizione Orlando inopportunamente propone che in avvenire le terre comunali che ancora sono libere si diano tunnizzamente gratuite ai poveri.
Il Sac. Chiaramonte invece si associa alla proposta dell’Amministrazione con l’aggiunta però che si dia facoltà ai censualisti di potere calcolare il canone sulla base di £ 0,80 per metro quadrato, anziché di £ 1,25.
— Noi — egli conclude — dobbiamo risolvere quest’arduo problema col proposito di assicurare una pace duratura e non temporanea al paese!
Il consigliere Abisso si associa. Il consigliere Friscia parla in favore della proposta dell’Amministrazione. L’avv. Bonifacio si associa, dopo un lungo discorso, alle proposte del Sac. Chiaramonte…
Finalmente si mette ai voti la proposta dell’Amministrazione comunale con l’aggiunta di quella del Sac. Chiaramonte. Fatto l’appello nominale, la proposta e l’aggiunta vengono approvate all’unanimità.
Il popolo accoglie con soddisfazione le decisioni del Consiglio e rientra nella calma.
All’Autorità tutoria spetta ora l’ultima parola, e ci auguriamo che sia di approvazione piena alle deliberazioni prese, le quali rispondono ad un vero senso di pietà e di giustizia”.
La cronaca di questi avvenimenti l’abbiamo trascritto dal Lavoratore del 25.10.1908, firmata GUIDO.




L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 13

di Gerlando e Raimondo Lentini

Il terremoto del 1908

La gioia e la serenità del Natale 1908, in Sicilia, furono turbate da una tremenda notizia: alle 5,20 del 28 dicembre, un terribile terremoto distruggeva Messina e Reggio Calabria con i tanti paesetti vicini. Ufficialmente i morti furono 77.283 e i feriti non si contarono; i senza tetto a migliaia furono dislocati in diverse città dell’isola.
Il primo numero del Lavoratore del 1909 si apre con un grande titolo: IL GRANDE DISASTRO. È una relazione commossa della umana tragedia del terremoto, in cui l’arciprete Licata scriveva tra l’altro:
“Lo slancio del nostro popolo, pertanto, non si può descrivere: il disastro di Messina ha rivelato l’unità morale della patria nostra. La gara della generosità nazionale è stata impareggiabile; nei più umili villaggi e nelle più superbe città, cittadini di ogni classe e di ogni colore hanno considerata come propria la sventura che ha colpito la Sicilia e le Calabrie”.
“Anche a Ribera — si legge nella cronaca dello stesso numero del Lavoratore (20.1.1909) — la immensa catastrofe ha suscitato una gara nobilissima di carità.
Un Comitato composto di gente di tutti i partiti e delle autorità locali, ha raccolto più di quattromila lire. Il singor Parlapiano Vella ha dato mille lire; la famiglia del Barone Pasciuta 200; il Cav. Gaspare Pasciuta 150; la Società Agraria San Giuseppe 100, in chiesa si sono raccolte £ 198; il Comune ha dato £ 500; la Congregazione di Carità £ 100; il popolo tutto ha corrisposto nella maniera più larga e generosa.
Una Commissione a proprie spese è partita per i luoghi del disastro per distribuire i soccorsi. Essa è così composta: Arciprete Nicolò Licata, Antonino Parlapiano Vella, Barone Emanuele Pasciuta, Giovanni Leotta, Segretario comunale Domenico Chiaramonte.
Il nostro Arciprete ha già deliberato la celebrazione di solenni funerali nel trigesimo della catastrofe.
Tra le vittime del terremoto anche Ribera conta qualche suo figlio: il tenente Antonino Crispi è perito a Reggio con tutta la sua famiglia”.
“Ancora a beneficio dei danneggiati del terremoto — si legge sul Lavoratore del 2.2.1909 — è stata sorteggiata una salma di frumento. La sorte ha favorito il giovane Giuseppe Scorsone, il quale generosamente ne ha dato metà a beneficio dei colpiti dell’immane disastro.
La Commissione eletta per distribuire i soccorsi di Ribera ha compiuto la sua missione destando in Palermo la più viva ammirazione. Vestì interamente più di 300 persone, lasciò un forte sussidio alla Casa di maternità, diede generosi soccorsi a due distinte famiglie piombate nella miseria.
Lo scorso 28 gennaio, giovedì, per iniziativa del nostro Arciprete furono celebrati nella chiesa madre i funerali per i morti sotto le macerie del terremoto, e riuscirono imponentissimi. Un catafalco veramente artistico sorgeva in fondo alla chiesa; nel mezzo campeggiava una grande croce. Il signor Salvatore Porrello prestò interamente gratuita l’opera sua. Commoventi le iscrizioni dettate dal Sac. Chiaramonte. Un popolo intero gremiva la vastissima chiesa. Le musiche del Maestro Castagna e del Maestro Cinà si prestarono gratuitamente.
Intervennero il Sindaco, il Sig. Parlapiano Vella consigliere, la Direzione dell’Ufficio tecnico ferroviario, una larga rappresentanza del Circolo operaio F. Crispi e della Società Agraria San Giuseppe, il Delegato di P.S. e tanta gente.
La Società Agraria e le famiglie Crispi e Sortino mandarono bellissime corone.
Celebrò la santa Messa l’Arciprete Di Leo di Calamonaci.
Prima di dare l’assoluzione al tumulo, l’Arciprete Licata pronunziò un discorso che è impossibile riassumere. Egli strappò le lacrime a tutti e commosse vivamente quando accennò al dolore della inconsolabile mamma del tenente Crispi nostro concittadino, caduto sotto le macerie di Reggio Calabria. Ancora una volta l’Arciprete Licata dimostrò di essere un valentissimo oratore ed un uomo di gran cuore.
Durante i funerali nei vari circoli ed al Municipio sventolavano le bandiere abbrunate”.



L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 14

di Gerlando e Raimondo Lentini

Appello per fondare in Sicilia un giornale cattolico

Il primo numero del Lavoratore del 1916 si apre con un editoriale intitolato: LUNGA ED ASPRA. Vi scrive, tra l’altro, l’arciprete Licata:
“Dal racconto dei feriti reduci dal fronte e dalle notizie portate dai soldati venuti in licenza dalla zona di guerra, i pessimisti hanno ripresa ansa per rialzare la testa ed esclamare: Lo dicevamo noi!
Che cosa dicevano costoro? Che la guerra sarebbe stata lunga ed aspra! Ma lo dissero sin dal principio il Re, Salandra e tutti gli uomini seri e competenti… Le illusioni le hanno creato certi giornalisti faciloni e parolai…
Eppure, il buon senso e l’equilibrio del nostro popolo trionfa. Ed il popolo italiano che sino ad ieri pareva un popolo bambino, ha mostrato, in questo duro cimento, tale grandezza e forza da rendersi degno dell’alma Roma.
Non si può avere la pace senza la vittoria… Pertanto, nei solchi bagnati di lagrime e di sangue, noi seminiamo la grandezza futura della patria nostra”.

Nella seconda pagina dello stesso numero del Lavoratore (gennaio 1916) leggiamo un articolo firmato: Parroco Nicolò Licata ed intitolato: CHE LA ROMPA? L’antefatto dell’articolo è questo: in Sicilia si sentiva l’esigenza d’un giornale quotidiano fatto da giornalisti cattolici. Tentativi ce n’erano stati: quelli del Sole e del Corriere di Sicilia; ma erano falliti ben presto per motivi finanziari. Ebbene, proprio durante la guerra, il sac. Francesco Chiaramonte, che dal 1912 da Ribera s’era trasferito a Marsala come arciprete, lanciò una proposta per sostenere economicamente un nuovo quotidiano: ogni parroco della Sicilia avrebbe dovuto impegnarsi a procurare tra i suoi parrocchiani almeno due abbonati e devolvere 5 lire come sussidio; una proposta semplice e poco gravosa di facile attuazione, che però ebbe una risposta deludente. Ecco perché l’arciprete Licata intervenne con questo articolo, fortemente critico dei confratelli parroci siciliani e di appoggio all’amico Chiaramonte arciprete di Marsala, che riportiamo nelle parti essenziali. Prende lo spunto dal grido del famoso ragazzo genovese soprannominato Balilla (Che la rompa?), che dette origine alla rivolta di Genova che cacciò gli Austriaci dalla città, per poi proseguire:
“In Sicilia ci vorrebbe un Balilla che rompesse tanta ignavia. Un tentativo, più che alla Balilla, diremmo meglio alla Garibaldi, fu fatto dall’Arciprete di Marsala il quale, rompendo gl’indugi e le incertezze ufficiali, chiama all’appello per un’azione risolutiva i… Mille parroci dell’Isola. Squillò sonora la diana… ma soltanto Quaranta parroci risposero all’appello.
È umiliante. Ed anche inesplicabile. Perché nessun meschino sacerdote che abbia cura di anime può ignorare l’importanza del giornale. Mentre nessun curato del più minuscolo paese del la Sicilia può non trovare due abbonati e 5 lire di sussidio al quotidiano cattolico. Altrimenti ci sarebbe poco da consolarsi della mentalità e della efficienza di tali parroci.
Con alcuni colleghi ho voluto fare, in diversi punti della Sicilia, una specie di inchiesta — anche per motivo di onore e di studio del parrocato siciliano cui appartengo — sulle ragioni della mancata… spedizione dei Mille.
Ne rassegno le principali:
1. Alcuni vecchi, che usano ancora il lume ad olio, tengono i giornali in conto di una frivolezza, una specie di moda malsana contro cui le persone serie ed attempate, come loro, hanno il dovere di brontolare, salvo, s’intende, a comprare il giornale non nostro per ragione di curiosità ed a farsi prestare il nostro per ragione di economia. Uomini da… museo!…
2. Alcuni giovani, amici solamente dell’ottimo, e quindi nemici del bene, vogliono il giornale monstre come il Times oppure il New York Herald.
Cosa da poco!… Non sanno che in Sicilia — breve ambito dove si legge poco, mentre il giornale ha la vita di 24 ore — tra due quotidiani del lato orientale e due del lato occidentale, un quinto quotidiano (il nostro), per farsi largo, ha bisogno di tempo e di forti aiuti finanziari. I soli abbonati non bastano…
3. Altri sono ossessionati dall’ombra del passato: dopo il fallimento del Sole e del Corriere di Sicilia come si può avere il coraggio di parlare di quotidiano cattolico in Sicilia?
Appunto… Egregi amici, se noi vogliamo veder messa in valore la religione, che proclamiamo ed amiamo, dobbiamo procurarci i mezzi moderni per diffonderla, tra cui potentissimo è il giornale… Perciò, malgrado i falliti tentativi, dobbiamo continuare a lavorare — con maggiore forza quanto più duro è diventato il terreno — per avere il quotidiano vagheggiato…
4. C’è una quarta categoria di gente che potremmo chiamare autoritòfila. Aspettano sempre la manna dall’alto, mentre ordinariamente bisogna piegare la schiena al solco per produrci il pane con le nostre mani. Vorrebbero che per il quotidiano ci pensasse Domineddio con un miracolo, il Papa in persona, oppure l’Episcopato siciliano, il quale dovrebbe pagare tutto o prendere gli abbonamenti per i parroci oberati che non li prendono…
Costoro sono seguaci dell’opinione di quel tale che diceva: Tutto ciò che viene dall’alto è ordine, tutto ciò che viene dal basso è rivoluzione! Desideravano che l’iniziativa Chiaramonte l’avesse presa S.E. il Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana e che l’affare dei due abbonamenti e delle cinque lire per ogni parrocchia l’avessero, con tutte le forme canoniche, comunicato di ufficio gli Eccell.mi Ordinari ai Parroci della propria Diocesi. Chi è — si chiedono — questo Chiaramonte che parla in Israele?
Ma che frutti può dare la pioggia — diciamo noi — quando la terra non è apparecchiata?
5. A proposito. Certi tipi , amanti della modestia e nemici delle lodi, sapete perché non aderirono? Perché Chiaramonte faceva troppo rumore… Si doveva fare altrimenti!…
E così, per una questione di forma, si rinunzia alla sostanza!
Intanto si risparmiano la briga dei due abbonamenti, compreso il loro, e del sussidio. Questa è la sostanza.
6. C’è nel mondo sublunare anche la classe degli habitues. Pranzano a quella tale ora, fanno il tresette con quella tale compagnia, vanno a passeggio in quel tale punto, leggono quel tale giornale e non sanno distaccarsene per tutto l’oro del mondo. Sarà un giornale volteriano, verrà magari dal continente, non importa: sono attaccati a quella rubrica, a quelle lettere, a quel tanfo speciale di stampa e riesce loro sgradito il giornale più ben fatto, più pulito… Dicono:
— Ma che! I cattolici non sanno fare nulla di buono!
— Sicuramente. Con simili corifei!…
7. Nell’ultimo girone compariscono i positivi: Il mondo è andato sempre così… Volete aggiustarlo coi… giornali?… Tempo perso!… Perché guastarvi la digestione?
Sono della scuola del laisser faire, laisser passer. Ma non sono della scuola di Gesù Cristo.
Se dovessero prevalere simili criteri, povera religione! povera umanità! ed anche povere parrocchie!
Concludiamo. Mons. Spalding dice: Là dove manca la critica di se stesso, ivi è inevitabile la decadenza. Noi — con me parlano diversi parroci — invece vogliamo che il parrocato s’innalzi all’altezza della sua missione, centro propulsore di ogni bene, che smentisca queste sette ragioni dell’inchiesta con le settantasette volte dei fatti.
Insomma, se i Parroci vorranno, il giornale sorgerà”.




L’ARCIPRETE CHIARAMONTE - 15

di Gerlando e Raimondo Lentini

Arciprete a Marsala e morte

Nelle precedenti puntate abbiamo parlato delle attività del Chiaramonte a Ribera e provincia fino al 1916, ma già dall’agosto del 1912 era stato nominato arciprete di Marsala (probabilmente il 31°) e, di conseguenza, essendovi in quella chiesa madre una colleggiata, acquisiva, ipso facto, il titolo di “Canonico”.
Della sua attività in quella città ce ne parla il suo terzo successore cioè l’arciprete Andrea Linares nel suo libro “Gloria dei figli - Appunti per la storia della Chiesa Madre di Marsala” pubblicato nel 1983.
La chiesa madre di Marsala versava in pessime condizioni e, nei pochi anni dell’arcipretura tra l’altro coincisi col periodo bellico, il Chiaramonte riuscì a dare un nuovo organo, il pavimento, ecc. Ma vediamo cosa dice il Linares a pag. 135 nel capitolo Post nubila… generosità dei padri:
“Il pavimento fu fatto in diverse riprese e nelle navate laterali fu completato solo nel 1925. Dopo il cappellone fatto nel 1903 si cominciò nel 1904 la navata centrale. Desumo ciò da alcuni avvisi di riunioni nel 1904 e dai registri di questua. L’Arciprete Chiaramonte soleva dire che qualunque cosa si facesse nella nostra chiesa, era una goccia gettata in un pozzo, alludendo alla vastità della chiesa, e ai suoi molteplici bisogni. La sua arcipretura coincise con un tempo assai travagliato. Per di più, egli, partito volontario nella guerra del 1915-18, rimase lontano ben quattro anni dalla parrocchia. Durante la sua assenza furono sottratti alcuni paramenti conservati nell’ex cappella della Confraternita del Crocifisso, attigua alla canonica. Il furto fu scoperto al ritorno dell’Arciprete né fu possibile rintracciare i colpevoli o i preziosi. Accanto alla base della cupola vi era una specola di soldati.)
L’Arciprete Chiaramonte coronò i suoi sforzi a Marsala con l’altare di marmo del cappellone costruito nel 1929.
Morto immaturamente nella sua Ribera l’1-11-1930, la chiesa rimase fino al febbraio 1932 con la guida dell’Economo Can. Salvatore Pipitone. Nel 1932 successe il Can. Calogero Cusumano.”
Mentre nel capitolo sugli Arcipreti ed uomini insigni a pag. 167 aggiunge:
“31) Can. Francesco Paolo Chiaramonte di Ribera (Agosto 1912 - 1-11-1930). Prestigiosa la sua arcipretura! Dotato di ingegno versatile, vigorosa eloquenza, imponente aspetto, lasciò un’orma indelebile. Sarebbe lungo dire di tutto. Continuò l’opera del restauro del tempio e lo dotò di monumentale organo (fratelli Polizzi di Modica). Fondò e diresse dal 31-8-1913 al 1924 il mensile «Apostolato Cristiano». Alle Serve dei Poveri, venute a Marsala nel 1914 (fatte venire dal medesimo arciprete), affidò l’orfanotrofio femminile (21-5-1918) Notevole il suo apporto alla devozione eucaristica sia nel Congresso Eucaristico di Mazara del 1914 e molto più in quello di Marsala (18 - Nella vita di mons. Audino di Mons. Ajello, e nel Vomere si trovano utili notizie. Il Vomere del 26-5-1918 parla della inaugurazione dell’Orfanotrofio ecc.). Andò volontario nella 1ª guerra mondiale e la chiesa fu retta dal Con. De Maria (fino al maggio 1916, dal 1917 al 1919 dal Can. A. Fiorito).
Favorì le vocazioni sacerdotali. Morì di infarto all’età di anni 53. Dal 1930 al febbraio 1932 fu economo il Can. Salvatore Pipitone.”
Il Linares talmente stimava il Chiaramonte che lo ricorda anche nel suo testamento spirituale che per la profondità di sentimenti e di santità che emana ci piace riportarlo per esteso:
Testamento spirituale dell’Arciprete di Marsala Andrea Linares (7 marzo 1914 - 13 febbraio 1991) - Dai suoi quaderni
“Carissimi fratelli e sorelle in Cristo Signore
Alle soglie dell’eternità, alla vigilia del supremo inappellabile giudizio, quando le terrene vanità e seduzioni sono tramontate, sento il bisogno di rivolgermi a Padre Celeste con tutte le mie forze.
Come non ringraziarLo per i tanti doni gratuitamente concessimi?
La vita, la vocazione, l’amicizia e l’esempio di autentici e piissimi santi sacerdoti e laici e soprattutto per implorare perdono e misericordia, per la mia indegna corrispondenza, dei talenti non trafficati, per gli errori, le deficienze, le colpe, gli scandali di tutta la vita, i cattivi esempi di cui mi sono macchiato e che sinceramente deploro.
Ma come non rivolgere pensieri, affetti, saluti, auguri, a Voi amici e fratelli che rimanete? Chi potrebbe vietare di dirVi il mio amore? Da piccolo mi sentii chiamato alla consacrazione di tutto me stesso e di tutte le mie energie nel servizio totale ai fratelli.
Non lascio beni terreni, le case furono acquistate per la Chiesa, non per me. Povero mi legai al Sacerdozio, rinunciando ad ogni spettanza paterna, povero vissi cercando di spendere tutto per le Chiese, a qualsiasi titolo lo acquistassi, povero voglio morire. Nel mio Sacerdozio ho cercato le anime da dare a Cristo e al bene, non denaro, carriera, onori: il Signore me ne ha dati fin troppi di onori! A Lui siano grazie, honor et gloria.
E siano grazie a tutti i benefattori (Mons. Ajello, l’Arciprete Chiaramonte) e laici, a tutti quelli che mi hanno amato, compatito, collaborato, sostenendo la mia fragilità, zelando la Gloria di Dio, lavorando per il bene delle anime.
A tutti quelli che, comunque, mi sono stati vicini, il mio grazie e per loro la mia povera preghiera. Chiedo perdono a chiunque offesi, scandalizzai, portai dispiacere, come lo do piano a chiunque m’avesse afflitto e raccomando alle preghiere la mia povera anima.
Pietà di me, Signore. Nell’ultima mia ora, assistimi.
Pietà! Non guardare ai miei peccati! Accoglimi nel Tuo Regno.

Andrea Linares
    Sacerdos


Come già detto dal Linares, Francesco Paolo Chiaramonte moriva nella sua Ribera per un infarto il 1° novembre 1930 alle ore 23 nella casa posta in via Smeraldo n. 53 a soli 53 anni.
Arciprete Francesco Chiaramonte

Geometra Cesare Chiaramonte

Il segretario comunale Domenico Chiaramonte


Arciprete Nicolò Licata

La tomba dell'Arciprete Chiaramonte nel cimitero di Ribera