lunedì 20 febbraio 2017

Raimondo Lentini - IL FEUDO DI "DONNA" DI RIBERA

IL FEUDO DI "DONNA" DI RIBERA

DONNA SUPERIORE ED INFERIORE (Suprana e Suttana)

di Raimondo Lentini

Apparentemente l’etimologia del nome di “Donna” potrebbe sembrare che abbia origine da “femmina”, invece non è così. Molte zone della Sicilia portano questo nome, fra le più note citiamo Donnafugata, e devono il loro nome molto probabilmente alla radice araba “Ayn” (siciliano “aina”) che vuol dire “fonte, sorgente, fontana”, la prefissione “d” corrisponde all’articolo arabo “al”. Poco probabile sembra la radice greca “dona” che significa “canna, luogo pieno di canne”.
«Il sostantivo ‘ayn (fonte, sorgente) costituisce il primo elemento di numerosi toponimi, il cui adattamento, grafico e fonetico, in greco e in latino o in volgare è a volte così poco fedele da rendere incerta l'identificazione del secondo elemento. Spesso, nel corso dei secoli ‘ayn s'é mutato in Donna, Gian, Amma... Es.: Donnarumma cioè Fonte del greco (Áyn ar rūmī)». (V. Blunda, Supposte origini dei cognomi in Sicilia).
Insieme al feudo di Strasatto questi due feudi si trovano sulla riva sinistra del fiume Magazzolo, ma appartenevano ugualmente in uno col non più esistente feudo omonimo del detto fiume, alla baronia di Misilcassim per cui ne seguono le vicende storiche.
Mentre, per quanto riguarda il secolo scorso, sappiamo dal Farina (G. Farina, Ribera e il suo territorio, Palermo 1979) che con atto pubblico dell’11-3-1880, rogato notar Lionti Scagliosi di Palermo, i fratelli Parlapiano di Ribera, acquistavano i feudi Donna Inferiore, Donna Superiore e Ferraria.

Ribera mappa territorio dal Catasto Borbonico. Il feudo della Donna è segnato con la lettera O

La contrada Porta Farina


Se di solito i feudi devono i loro nomi a radici arabe, greche, latine, ecc., le contrade e le sottocontrade lo devono alla morfologia del terreno, a eventi come omicidi, e anche a nomi di antichi proprietari, ed altro. Nel nostro caso ad esempio Porta Farina, che è una contrada di Donna inferiore, lo si deve nella prima parte del nome “Porta” (in altri luoghi della Sicilia troviamo anche “Purtedda”) significa “gola” o “passaggio” in questo caso tra due monti ovvero colline, quindi sta per “valico”. Il secondo nome “farina” sembrerebbe che da quel luogo passassero dei carri con della farina, ma non riscontriamo nei paraggi nessun mulino o strada in cui spesso poteva passare tale alimento; si può pensare quindi che stia meglio il cognome “Farina”.
Infatti da atti notarili risalenti al XVII secolo ci pervengono notizie su una concessione a terraggio ad certo Pietro Farina di un appezzamento di terreno nel feudo della Donna inferiore (suttana) denominato allora  “quartu dilla Fossa” (Archivio di Stato di Sciacca, fondo notarile, not. Vincenzo Scoma, vol. 1851 del 20.10.1646). 
Il terraggio (o terratico) era il canone dovuto, per la concessione in subaffitto, generalmente da parte di Borgesi, di una chiusa del patrimonio comunale, statale o baronale, per seminarvi o condurvi al pascolo. (vedi: Oddo F. L., Dizionario di antiche istituzioni siciliane, Palermo 1983)

Il relativo atto notarile di terraggio venne stipulato 20 ottobre 1646 tra il dottore in medicina Luigi Spadaro, nella qualità di Secreto di Caltabellotta a nome e per conto di don Luigi de Los Cameros, giudice della Regia Monarchia e deputato degli stati del principe di Paternò (Luigi Guglielmo Moncada) con diverse persone tra cui il nostro Pietro Farina. Tra queste persone ricordiamo: Vincenzo Noto (quartu Zimbi), Vincenzo Noto (quartu dilla Gincaria), Francesco Ferrante (quartu Zimbi), Giuseppe Crapanzano di Antonio (quartu Cuccia), Vincenzo Montalbano (quartu dilla Beveratura), Giacomo Augello (quartu di Gagliardu), Pietro Cosenza (quartu dilla Gincaria), Francesco Tornambè (quartu di Giummarazzi), Accursio Tornambè (quartu dilla Trazzera).
Questi era un pastore di Caltabellotta figlio di Paolo (di Pietro) e Antonina Parlapiano. Probabilmente in anni precedenti il terreno era stato concesso al padre e al nonno. All’epoca della concessione Ribera esisteva da dieci anni, ma lui non vi si stabilì con la famiglia, si era infatti sposato nel 1639 con Grazia Vetrano fu Marco e Luigia (atto di dote il 17.7.1639 in not. Giuseppe Celino, vol. 2080). Abbiamo invece la concessione di una casa a Ribera nel 1636 a certo Gregorio Farina, ma non ebbe discendenti tanto che tale cognome non risulta essere presente nel nostro comune fino alla fine dell’800.
Nel Rivelo di Caltabellotta del 1652 (i Riveli delle anime e dei beni erano una sorta di censimento e dichiarazione dei redditi di allora) Pietro Farina dichiara di avere quaranta anni e di possedere una giumenta e settanta pecore e che la sua famiglie era così composta: la moglie Grazia e due figli maschi, Paolo di dieci anni e Antonino di due.
Verosimilmente Pietro Farina, come gli altri pastori che avevano a terraggio appezzamenti così lontani da Caltabellotta, per poter portare a pascolo gli animali dovevano costruire dei rifugi per se stessi e gli ovili per le pecore ed abitare gran parte dell’anno in questi terreni.

Le altre contrade più importanti


Pizzu Corvu (Donna inf.): Dal gr. Koros = Corvo. Cima del Corvo e burrone del Corvo.
Monte Firriu (Donna inf.): Dal lat. Virare = voltare, girare. Dalla forma del monte.
Giummarrazzu (Donna inf.): In questo territorio crescevano in gran quantità le “giummarre” palme nane.
Mangiatureddi (Donna inf.): Dim. di “Mangiatura”. Dal lat. Manducare = mangiare. Piccole mangiatoie per ovini.
Mannarazzi (Donna sup.): Dal gr. Mándra = mandria, dispr.. Complesso di spazi delimitati con costruzioni rustiche in cui si svolge l’attività pastorale.
Cozzu Salaru (Donna inf.): Dal lat. Salarius = pertinente al sale. Il luogo è ricco di sale e si ha notizia di una raffineria.
Monte Serralonga (Donna inf.,): Dal lat. Serrare = segare. Voce molto diffusa in tutta l’Isola che indica non solo le creste seghettate, ma anche monti che non presentano la regione culminante con i caratteri di sega.
Feudo Donna carta XIX secolo (Particolare - Collezione privata)










APPENDICE ALL'ARTICOLO

Da: Sicania, 1.8.1914, Anno II, n. 8(14), pagg. 290 e ss.

LE LOCALITÀ COL "DON"

di Giuseppe Maria Calvaruso


All’illustre Dott. S. Salomone-Marino.
Parrebbe a prima giunta che le località col nome preceduto da don o donna, dovessero avere un'origine più nobile di quella, delle altre, perché appunto il don e il suo femmenile donna, derivati dal latino dominus «signore» e domina «signora», nei tempi passati si davano esclusivamente ai membri delle famiglie principesche. Qui invece si tratta di tutt’altro e sembra anzi che don, nella parlata popolare mutato in dan, e nei documenti diplomatici in dain, abbia una stretta relazione con l’arabo ‘ayn «sorgente» «polla d’acqua», «corso d’acqua», al plurale a'yon o ’oyûn; e di fatto tutte le località col don sono provviste più o meno d’acqua.
Passiamone in rassegna qualcuna:
1. Donna — Gorgo a capo del fiume dell’Arena o di Delia, sotto Salemi (Amico — Dizionario topografico di Sicilia). Chi non vi riconosce l'arabo ‘ayn «sorgente d’acqua» o meglio il suo plurale a’yon, col prefisso d, che, secondo l’Avolio, dà una maggiore consistenza al suono vocalico della iniziale e, secondo me, spiega uno dei tanti fatti di etimologia popolare? Come potrebbe giustificarsi la voce donna attribuita da sola ad un gorgo fluviale?
Chi fu mai questa donna?
2. Donnastùri — Nella storia popolare della Baronessa di Carini, amorosamente raccolta dall’illustre Dott. S. Salomone-Marino, questa località, piuttosto alta, posta a guisa di sella tra il versante di Carini e quello di Montelepre e coltivata un tempo a cannamele, ò designata col nome di Dain Asturi o di Daina-stùri (pagg. 67-77-107-201) e di Donnastùri (pag. 288) ed è una possessione in territorio di Montelepre, compresa nello stato di Carini, e proprietà e titolo fin quasi ai nostri giorni della famiglia Vernagallo. Mi scrive il Sig. Terranova, titolare postale di Carini, che il popolo carinese pronunzia questo nome Dannastùri, che questa terra, in parte piuttosto elevata, accessibile ed ora coperta di vigneti ed oliveti, dista da Carini circa 14 Km. e che un tempo apparteneva al Barone Vernagallo ed oggi al Duca d'Orleans, perché inclusa nella contrada dello Zucco; però non vi si rinviene nessuna sorgente. Invece il Cav. Prof. Pietro Barcellona Passalacqua, autore delle Tre Hyccari, facendo la distanza da Carini di circa Km. 12 per le scorciatoie e di quasi Km. 20 per la via rotabile, afferma che in Don Astùri o Dain Astùri esistono delle piccole polle d’acqua insignificanti, talune delle quali in qualche affossamento; però una, la Frattinella, al limitare del fondo, ha una certa importanza. E soggiunge: «Il popolo non sa mai nulla, dice quello che sente dire; e il feudo s’intitola Don Astùri, perché appartenne ad uno dei Vernagallo chiamato Astore ed i Vernagallo sulla piana di Carini, a 6 Km. dal paese, hanno ancora un possedimento».
Ma geneologicamente esistette questo Don Astore? No. E che cosa fece di rilevante a quella terra sì da lasciarvi il proprio nome? Nulla ne dice la storia municipale e la leggenda. Capirei che essa fosse chiamata piuttosto Barone Vernagallo, a similitudine delle contrade di P.pe Calati, di Barone Pasqualino, di Notar Mario.... ma non capisco affatto che debba portare il nome di Don Astùri, il quale non è mai esistito nella famiglia che per tanti secoli la possedette. Capisco invece che le sorgenti d’acqua ci sono a Dain Astùri, come dichiara in modo reciso il Dottore Salomone-Marino, e più estese e più ricche dovettero essere in antico per la soprastante montagna, un tempo boschiva ed ora diboscata, di cui fa fede la antica coltura delle cannamele. Ed io forte di questa particolarità topografica, dell’esistenza, cioè, delle sorgenti d’acqua, inclino a dare al nome la etimologia araba: ‘ayn «sorgente» e astûruh «più coperta», «più nascosta», «più invisibile». Talché il popolo ha inteso questo nome dagli Arabi e per tanti secoli, fino a noi, l’ha ripetuto tenacemente, invariabilmente, trasformando in dannu o donna le voci ‘ayn o a'yon, che per esso non avevano nessun significato. Intanto la forma Dain si conserva nelle scritture e ciò tradisce in modo chiaro l’origine araba.
3. Donnàuta — Sorgente dell’Imera meridionale, alle radici occidentali dei Nebrodi, mentovata dal Fazello e dall’Amico col nome di Donna Alta. Potrebbe trattarsi con tutta probabilità del1’ arabo ‘ayn «sorgente» od a'yon «sorgenti» e 'audah «vecchia», «antica» dovendosi scartare, per le ragioni precedenti, che sia appartenuta ad una donna alta di statura o di lignaggio.
4. Donna Biatrìci — Feudo un tempo posseduto dai Palazzo-Dara, distante circa 4 Km. da Corleone e attraversato dal fiume Arangi e dalla ferrovia, di cui vi è una fermata. Il mio amico F. P. Crescimanni, vecchio impiegato a riposo, nativo da Corleone, crede, come altri, che la denominazione di Donna Beatrice sia originata dal fatto che quella terra un tempo fosse il feudo di una castellana così chiamata, appunto come l’altra di Donna Giacoma.
Ma chi furono questa Donna Beatrice e questa Donna Giacoma? Qui tacciono la storia paesana e le tradizioni del luogo; qui si brancola nel buio. È innegabile che la prima parte di Donna Beatrice è sempre l’arabo ‘ayn, plur. a'yon, mentre l’altra parte potrebbe essere l’arabo bettadrîgi «per scaglioni», «per scalini» forse perché la sorgente, che ora è scomparsa è che doveva pullularvi, si gettava nel vicino fiume per un terreno degradante.
5. Donna Giacuma — È un ex feudo in territorio pure di Corleone, sui monti sovrastanti a questo comune e da esso distante circa 9 Km; oggi è posseduto dai Mangiameli ed un tempo si apparteneva al soppresso Monastero di S. Maria Maddalena. Scartando la molto invocata castellana di egual nome, assegnerei alla prima parte l’arabo ‘ayn o a'yon, «sorgenti» pei tre abbondantissimi abbeveratoi ivi esistenti, mentre vorrei avvicinare la seconda parte all’arabo zakkîmah «violenta», «veemente» forse per la veemenza o violenza con cui vien fuori ancora l’acqua dalle tre sorgenti.
6. Donnafucàta o Donna affucàta — In italiano è detta questa località Donnafugàta ed è una terricciola presso S. Croce di Camerina, comune di Ragusa, provincia di Siracusa. Il Sig. Palmeri, ricevitore di quell’ufficio postale, ad una mia lettera gentilmente risponde: «Il feudo di Donnafugàta appartiene da quattro secoli ai Baroni di Donnafugata, di cui il penultimo fu senatore del regno. L’attuale proprietaria è una sua nipote, la Viscontessa Lestrade, Baronessa di Donnafugata.
Il nome del feudo non proviene da una fontana, ma dalla storia o leggenda della regina Bianca, che ivi venne a rifugiarsi, salvandosi dalle male voglie di Bernardo Cabrera. Vi esiste, è vero, una sorgente; ma non ha né storia, né importanza ed esce dal suolo, d'infra le rocce, ad un’altitudine di circa 300 metri, senza alcun fenomeno straordinario.»
Ma nella Somma della Storia di Sicilia di Nicolò Paimeri si legge a pag. 355, a proposito della bella e giovine vedova di Martino II: «La regina (Bianca) non tenendosi sicura in alcuna delle città che avevano riconosciuto l'autorità del conte di Modica (Bernardo Caprera) erasi ritratta in Siracusa, città a lei soggetta; ma venne fatto a quel conte di sorprendere la città, farsene padrone ed assediare strettamente la regina ch’erasi chiusa in uno dei castelli, tanto che era essa per cadere nelle mani di lui. Ma avutane compassione Giovanni Moncada, venne in soccorso di lei e tanto fece che il conte fu cacciato dalla città e volto in fuga.»
Dunque la regina Bianca, se fu in un castello di Siracusa, non si rifugiò mai a Donnafugata, e quella che si racconta fra le persone colte del paese è tutta un’invenzione innestata sopra un fatto storico; com’è pure un’invenzione la voce che corre fra le persone incolte, cioè, che quel nome proviene da una donna strozzata, in siciliano affucata, non si sa da chi, per quale ragione, in quale tempo e luogo preciso, quantunque qualcuno mostri a giustificazione di ciò una croce di legno fuori del paese, che si crede il ricordo dello strozzamento e secondo me il segno usato nel contado per indicare una vicina riunione di fedeli, una chiesa prossima.
La prima parte invece è l'arabo ‘ayn o a'yon, per la sorgente che vi scaturisce, mentre la seconda parte potrebbe interpretarsi con l’arabo fûqat «superiore», fâqat «miseria» o fî uaqti «nel cavo della roccia.»
7. Donnaliggi — È un ex feudo al bivio fra Polizzi e Castellana. Il Cav. Giuseppe Collisani, da Petralia Sottana, che ha le maggiori possessioni in questa località, diversi mesi addietro mi scriveva: «Donalegge si apparteneva una volta ai marchesi Inguaggiato. L’esteso fabbricato, ora trasformato in una cinquantina di case coloniche, ed in alto la casa, che serviva di abitazione ai proprietari dell’epoca, lasciano anche ora intravedere la signorilità e grandezza degli antichi possessori. Esiste una sorgente d'acqua superficiale, che va ad immettersi per mezzo di una conduttura in un grande abbeveratoio. La località poi si chiama Donalegge, perché era la dimora preferita del marchese Inguaggiato ed era quindi il posto da dove partivano gli ordini per le altre, e non poche, fattorie e possessioni in Sicilia dello stesso marchese. Il popolo, sicilianizzando Donalegge, chiama la località Donnaliggi
A me invece sembra il contrario, cioè, che le persone colte, italianizzando il siciliano Donnaliggi, abbiano fatto Donalegge e Donnalegge e che la forma siciliana nella prima parte abbia una perfetta corrispondenza coi nomi topografici qui esaminati, perché vi si trova la costante voce donna.
Questa voce è appunto l’arabo ‘ayn, plur. a‘yon, e la seconda parte potrebbe ridursi all’arabo lagiâ «asilo», «rifugio», od al-augiah «la più bella», «la più evidente» o meglio al-uagîh «del principe», «del notabile», «del capo».
8. Donnalisa. — Contrada nel territorio di Carini, fornita d’acqua. Mentre la prima parte è l’arabo a'yon «sorgenti» la seconda potrebbe ricondursi a lîs, plur. di laysâ «lenta», «tarda».
9. Donnalucàta — Sorgente d’acqua presso Scicli, ora scomparsa, che pullulava su la spiaggia fra le foci del fiume di Ragusa e di quello di Modica. L’Arezio, che la chiamò Annalucata, opinava che essa prendesse il nome dalla pietra agata, mentre il Fazello ed il Massa la credettero voce saracinesca e la scrissero Aynlucata. Edrîsi e Al-‘Umarî, che la posero vicino a Scicli, la scrissero Ayn al-auqât e dissero che, fenomeno singolare, l’acqua vi sgorgava nelle ore della preghiera musulmana (cinque in un giorno) e smetteva nelle altre.
L’Amari affermò che una fonte di egual nome è sui monti di Gigel al meridiano di Porto Sebila. Il Macri non fece che ripetere la descrizione dei testi arabi; il Tardia diede per etimi a’yn «fonte» e uaqt «ora» e l’Avolio si attenne all’Edrîsi e all’Umarî dando la stessa spiegazione della intermittenza. Io non saprei che confermare tale etimologia se, come fu opinione generale, le acque della sorgente si mostravano solo in cinque ore del giorno, quante appunto sono le ore della preghiera musulmana, essendo al-auqâti plurale di al-uaqti e significando «delle ore».
10. Donna Pirrotta — Contrada irrigua nel territorio di Carini. Anziché da una molto discutibile proprietaria di questo nome, potrebbe provenire dall'arabo ‘ayn «sorgente» e barûdah «fresca», «fredda» essendo fresche le acque che sgorgano in tale località.
Così che a queste e ad altre località col don potrebbe rivolgersi la canzone popolare che si legge nei canti siciliani raccolti dal Pitrè (N. 290 — pag. 294):
Tô patri è un aciddazzu senza pinni,
tô matri lavannara di tant’anni;
perciò ssu Ddo’ a tia dunni ti vinni?
di Terranova o di Castrugiuvanni?


martedì 28 luglio 2015

La musica a Ribera: undicesima ed ultima puntata - Il complesso bandistico, con majorette, “Città di Ribera”

La musica a Ribera: Il complesso bandistico, con majorette, “Città di Ribera”

di Lino Aquè

parte undicesima ed ultima


In "Momenti di vita locale" N. 388 del 9 Novembre 1997

Il complesso bandistico, con majorette, “Città di Ribera”

Un patrimonio sottoutilizzato

Il maestro Totò Caramazza «Funerali e feste patronali non sono l’occasione migliore per far esprimere le bande al massimo: nei primi servono per attirare l’attenzione, nelle seconde per fari scrusciu. Se potessimo fare dei concerti stabili…»
di Lino Aquè


In banda come musicante. Poi l'orchestra, il gruppo musicale Albatros, da 26 anni sulla cresta dell'onda, il diploma, di nuovo la banda, ma stavolta come maestro, le majorettes. Questa in sintesi la carriera musicale di Salvatore Caramazza, detto Totò, insegnante di Musica e Canto all'Istituto Magistrale di Ribera, sposato, un figlio. 
La sua formazione musicale ha avuto inizio all'età di dieci anni, quando il padre lo portò dal Maestro Cinà perché imparasse a suonare uno strumento. «Il maestro - ricorda Caramazza - mi affidò la tromba in Mi bemolle, uno strumento particolare e molto costoso. Mio padre non poteva affrontare la spesa di 40.000 lire necessaria per l'acquisto, per cui chiese al maestro se ve ne fosse una tra gli strumenti del Comune. C'era, ma era da riparare: La spesa sarebbe stata di duemila lire circa, abbastanza irrisoria, per cui fu riparata. Arrivò dopo un mese, durante il quale persi delle lezioni, non potendo fare prove. 
Nonostante tutto non riuscivo a suonarla. Ciò fece infuriare sia mio padre che il maestro Cinà il quale chiese ad Angelo Russello di mostrarmi come si suona la tromba. Russello, preso lo strumento e portatolo alle labbra si accorse che era tappato: altro che riparato! Subito fu deciso di cambiarmi lo strumento, e si optò per il clarinetto, che allora costò 19.170 lire». 
Caramazza continuò gli studi e si diplomò in clarinetto nel 1972. Poco dopo Piddu Lo Giudice, ex musicante della banda di Cinà, fuoriuscitone poiché il maestro lo riteneva troppo vecchio per poter continuare a suonare, lo convinse a metter su un'altra banda. Punto di partenza dodici musicanti, tutti, come Piddu, ex bandisti di Cinà. Nacque così la banda “Città di Ribera”, divenuta nel 1989 Associazione Artistica. «La prima uscita che la banda fece fu a Pasqua del '73 per volontà dello stesso comitato organizzatore della festa, che ci diede anche i soldi per acquistare alcuni strumenti, come la cassa e i piatti. Ovviamente non erano dodici gli elementi, ma trentacinque, poiché avevo reclutato dei musicanti dai paesi vicini». Piddu Lo Giudice diventò il capobanda e, al contrario delle previsioni del maestro Cinà, «suonò il clarinetto piccolo in banda ancora per diversi anni prima di ritirarsi definitivamente». In quel periodo Caramazza lavorò molto per la banda: «Nel '73, a seguito di quella prima uscita di Pasqua, possibile grazie all'utilizzo di musicanti di Montallegro, mi impegnai a tenere due gruppi di bandisti, a Ribera e a Montallegro. Ciò consentì alla banda di essere presente in due cittadine contemporaneamente. 
L'impegno diventò gravoso quando furono raggiunti i trenta elementi per parte, per cui divisi i due gruppi affidandoli a due capobanda. Nel '77 ripetei l'esperienza a Calamonaci: ne derivò il Centro Artistico Musicale che è attivo tutt'oggi». Quando le necessità lo richiedano, ancora oggi vi è lo scambio di musicanti. tra la banda di Caramazza e quelle dei due paesi. 
La banda "Città di Ribera" consta di 32 elementi la cui età è compresa tra i 16 e i 60 anni. Suona, oltre che a Ribera, anche in diverse città della Sicilia: ogni anno è ad Agrigento per il Venerdì Santo, e da 8 anni partecipa al Carnevale di Termini Imerese insieme al proprio gruppo majorettes, diventandone un punto di riferimento. Partecipa a raduni e concerti in tutta l'isola; nel 1987 al raduno di Corleone ha vinto il primo premio. «Era l'anno - ricorda Caramazza - in cui i tre grandi tenori Pavarotti, Carreras e Domingo, fecero il trionfale concerto alle Terme di Caracalla. Io, in piccolo, ripetei l'esperienza con Roberto Palminteri e Stefano Baiamonte». 
L'Associazione Artistica Città di Ribera attinge a un vasto repertorio di musiche strumentali di Suppé e Rossini; sceglie opere di Verdi, Rossini e Bizet; intona le marce di Ippolito, Simonelli e Lufrano. «In realtà a Ribera ben poco del nostro repertorio può essere utilizzato. Funerali e feste patronali non sono l'occasione migliore per far esprimere le bande al massimo: infatti nei primi servono per attirare l'attenzione, nelle seconde serve per fari scrusciu nella raccolta delle questue. In una festa patronale la banda, semmai, dovrebbe essere utilizzata per allietare il paese a zone, con grandi marce e brani sinfonici, suonando da fermi ora davanti alla casa del Governatore, ora presso la chiesa dov'è la festa, ora in punti strategici della città. Ma la cosa migliore sarebbe senza dubbio potersi esibire su un palco, la domenica mattina. Si avrebbero due vantaggi: la possibilità per le bande di suonare repertori di musica bandistica, che al contrario delle musiche per orchestra (le quali vengono adattate), valorizzano gli ottoni e i legni; contemporaneamente si avrebbe un ruolo didattico nei confronti dei bambini, che verrebbero sensibilizzati alla musica dal vivo e nel giro di pochi anni si potrebbero avere nuovi musicanti». 
Ma perché oggi i bambini non vogliono più imparare a suonare lo strumento? «Più che non vogliono, non possono: tra tempo prolungato a scuola, computers e impegni sociali, quasi non trovano più il tempo per fare i compiti, figuriamoci per studiare uno strumento e recarsi ogni giorno dal maestro». 
Il maestro Caramazza non consiglia, infatti, di studiare da soli a casa poiché gli allievi potrebbero distrarsi e, a lungo andare, annoiarsi e abbandonare la musica: «Mi capitò una volta con Virzì col quale mi impegnai a fargli lezione tre volte al giorno. Il risultato valse i sacrifici, visto che in un mese Virzì apprese quanto un allievo normale avrebbe potuto apprendere in due anni. Fu una sfida che volli fare con me stesso e ci riuscii. E non fu l'unica. Ricordo che nei primi anni di direzione bandistica mi è capitato un allievo che a prima vista non sembrava potesse mai suonare uno strumento. Era il piccolo Paolo Miceli, che aveva otto anni. Essendo bassino e tozzo, aveva braccia corte: decisi di affidargli il clarinetto piccolo e oggi è diventato professore». 
Ritornando alla questione delle esibizioni in piazza, sembra che qualche cosa si sia mosso se è vero che alla fine della scorsa estate le tre bande musicali di Ribera si siano unite per una serie di esibizioni su palco. «Più che si siano unite, sono state unite per volontà dell'Amministrazione Comunale, che aveva intenzione di creare un grosso spettacolo, che in fin dei conti c'è stato. Anche se c'è da dire che un gruppo di 90 elementi è difficile da gestire, e il risultato non è stato eccezionale. Questo perché il gruppo non era omogeneo: erano messi insieme maestri di musica, abituati, oltre che a leggere lo spartito, a seguire il direttore d'orchestra e musicanti ancora in erba, che non staccano mai gli occhi dal foglio. Ho temuto più volte durante l'esibizione sotto la mia guida di perdere il sincronismo tra i vari elementi. Ho dovuto, quindi, svolgere un ruolo di moderatore. Per avere un risultato eccellente e un miglior controllo sui musicanti la banda dovrebbe essere composta al massimo da 35-40 unità». Un merito, però, va dato a questa esperienza: «Abbiamo ritrovato, i tre gruppi, quell'armonia che da un po' di tempo era venuta a mancare. Adesso tra le tre bande c'è più collaborazione e scambio di musicanti», 
Alle esibizioni in piazza si possono alternare i concerti sinfonici operistici, serali e da teatro. Ma esiste il pubblico capace di apprezzare questo genere di musica? «Esiste ed è desideroso di assistere a questi spettacoli, che in realtà anche noi in passato abbiamo tenuto, con ottimi risultati, al Golden: il teatro, pieno di gente e senza amplificazione, rende alla musica tutte le sue caratteristiche e sfumature». 
Dal 1986 alla banda musicale, Caramazza ha affiancato il gruppo delle Majorettes. «Questo gruppo è nato grazie all'Amministrazione Comunale del tempo. Allora il Carnevale era ancora una manifestazione viva e il sindaco invitò tutte le scuole affinché preparassero qualcosa di originale. Mi venne in mente di creare un gruppo di majorettes. Il preside Brancato rimase stupito dalla mia idea e mi appoggiò. Nel giro di un mese abbiamo messo su un gruppo di majorettes che si esibì sia al Carnevale riberese che a quello di Sciacca, aggiudicandosi il 2° premio di 500.000 lire che andò a finire nel fondocassa della scuola. L'Amministrazione ci aiutò con un piccolo contributo per la realizzazione delle divise, così come fece anche la scuola. Le scarpe, invece, erano a spese delle ragazze». Il gruppo delle majorettes è ancora attivo e consta di 24 ragazze suddivise in sbandieratrici (8) e coreografiste (16). Le majorettes sono affiancate alla banda (si esibiscono sempre insieme) ed è unica in tutta la Sicilia. 


I fondatori 
Piddu Lo Giudice Piccolo clarinetto MiB
Alessi Piazza Flicornino MiB 
Giuseppe Carchì Sax tenore 
Emanuele Riggi Tamburo 
Eduardo Ceresi Clarinetto 
Giuseppe Augello Basso MiB 
Francesco Lo Giudice Grancassa 
Angelo Russello Piatti 
Giuseppe Carubia Clarinetto (Calamonaci) 
Traina Flicorno soprano 
Giuseppe Liotta Sax soprano 
Maggiore Corno 
Giuseppe Schifano Basso SiB 
Andrea Virzì Tamburo 


I componenti del Complesso bandistico "Città di Ribera" 
Giuseppe Guddemi Clarinetto - Capobanda 
Francesco Auteri Flicorno soprano 
Roberto Auteri Basso MiB
Gaspare Brucculeri Tromba b in SiB 
Michele Borsellino Tromba 
Calogero Calandrino Sax soprano 
Vito Calandrino Clarinetto 
Michele Caltagirone Trombone 
Carmelo Caltagirone Basso SiB
Paolo Caltagirone Flicornino 
Francesco Caramazza Trombone 
Giuseppe Caramazza Clarinetto 
Stefano Caramazza Flicorno contralto 
Gaspare Gristina Piatti 
Salvatore Mangione Flicorno baritono 
Ezio Miceli Basso SiB
Enzo Sarullo Tamburo 
Pietro Sarullo Clarinetto 
Gaetano Puccio Flicornino 
Alessandro Castagna Flauto 
Adriano Spallino Tromba 
Giuseppe Spallino Trombone 
Vincenzo Nocilla Corno 
Antonio D'Aleo Tamburo 
Ciro Ruvolo Clarinetto 
Fabio Cannella Sax contralto 
Pietro Cuffaro Clarinetto 
Liborio Riggi Clarinetto e Sax contralto 
Accursio Savona Flicorno contralto 
Alessandro Savona Grancassa 
Filippo Ulderigo Clarinetto 


Le majorettes 
Sbandieratrici 
Rosaria D'Angelo (capitano) 
Graziella Vaccaro (vice) 
Marilena Spinelli 
Lorena Tacci 
Rossana Tacci 
Stefania Gristina 
Francesca Messina 
Sabrina Messina 

Coreografiste 
Tiziana Comparetto (capitano) 
Angela Pipia (vice) 
Barbara Randisi 
Maria Luisa Ciliberto 
Sabrina Carestia 
Carmela Salpietra 
Marianna Ragusa 
Alina Vaccaro 
Enza Vitabile 
Alfonsina Tortorici 
Maria Ferraro 
Mary Volpe 
Rosalba Catanzaro 
Monica Rizzo 
Francesca Coniglio 

Veronica Guttaiano 

La musica a Ribera: decima puntata - Banda musicale, elemento di civiltà di un paese

La musica a Ribera: Banda musicale, elemento di civiltà di un paese

di Franco Mascarella

parte decima


In "Momenti di vita locale" N. 384 del 12 Ottobre 1997

Banda musicale, elemento di civiltà di un paese

Tre complessi bandistici, più di cento elementi. Un paese si può trasformare anche valorizzando queste forme artistiche. Ne parliamo con Giuseppe D'Anna, capobanda della "Washington Navel" 
di Franco Mascarella 

Le bande musicali non sono le parenti povere delle orchestre sinfoniche, semmai possono assurgere a simbolo della civiltà dei piccoli centri, da contrapporre a quella delle metropoli. Il guaio è che molti di questi piccoli centri, presi in giro dalla tv con la storia del "villaggio globale", vi hanno rinunciato mentre alcune città fortunate si tengono ben strette le loro orchestre sinfoniche. Ribera ha la ventura di annoverare tre complessi bandistici, che a denti stretti hanno resistito alle frustate del "villaggio globale", sostenuti dalle feste dei santi patroni e da qualche funerale. Ora che questi ultimi si fanno alla chetichella, restano soltanto i santi patroni, che, nonostante la loro carica protettiva, sono insufficienti a dar fiato alle trombe. Opportunamente, quest'estate è intervenuto il Comune che ha commissionato dei concerti all'aperto. È questa la strada perché le bande ritornino ad essere l'emblema della civiltà del nostro paese, ed è tutta da percorrere. Ne parliamo con Giuseppe D'Anna, capobanda della "Washington Navel"; nelle prossime puntate sentiremo anche i responsabili degli altri due complessi, i maestri Cappello e Caramazza. 


«Ogni complesso bandistico - dice D'Anna - è sempre stato di primaria importanza nelle celebrazioni popolari, capace di rinvigorire l'identità e la comunione di un popolo». 
Parole elevate, candidamente retoriche, ma che non si possono apprezzare a pieno se non si e, almeno una volta nella vita, stati parte di un coro, seppure stonato, o di uno scalcinato complesso musicale. Immergiamoci in esse: «La banda ha la capacità di ridare all'uomo la pienezza del suo essere, la padronanza ragionata di ogni sua azione, la forza e la gioia dell'emulazione nello spirito artistico, che si realizza nelle piazze e nelle sale dei concerti». 
Non ci credete? Provate, allora, ad andar dietro a una banda mentre gira per le strade di un paese, e osservate a uno a uno i suoi componenti. 
Giuseppe D'Anna ha "ereditato" 20 anni fa la banda dal maestro Enzo Cinà, insieme a Cappello e al capobanda Salmeri. Aveva, allora, sedici anni e siccome faceva studi di ragioneria i due coeredi gli affidarono la contabilità. «Nei primi anni '80 - racconta - la banda aveva raggiunto il suo massimo sviluppo sia dal punto di vista artistico che come numero: più di quaranta elementi. Facevamo molte feste di paese, che comprendevano anche la "musica al palco": Calamonaci, Siculiana, Caltabellotta e raggiungevamo persino le provincie di Catania e Messina». 
Nell'84, ahimé, una scissione, e poi da quell'altro gruppo un'altra scissione. «Così oggi ci sono tre bande»: contabilizza, senza scomporsi, il ragioniere D'Anna. Non interessa qui sapere le cause che hanno portato a quel risultato, anche perché i tre complessi vivono in armonia, e non da oggi: «Già nell'86 trovammo un accordo perché i servizi funebri e le feste locali si facessero a rotazione; e successivamente un altro accordo permise lo scambio di elementi in caso di necessità». 

Quest'estate avete fatto tre concerti a "reti unificate". Cioè, lei, i maestri Cappello, Caramazza e Miceli avete diretto un'unica banda di 80 o 90 elementi. Si va verso il riaccorpamento? 
No. È stata una scelta dell'Amministrazione comunale. Io sono del parere che se i tre complessi si fossero esibiti singolarmente ci sarebbe stata una maggiore varietà di offerta musicale, un maggiore spirito di emulazione e - senza nulla togliere al successo di quelle serate - risultati qualitativamente migliori».

Quest'estate abbiamo avuto un felice ritorno della musica al palco. Perché non se ne faceva da tempo? 
«In provincia di Catania e Messina ancora oggi viene eseguita davanti a folle che gremiscono le piazze. Nella nostra provincia, purtroppo, questo non succede. E così anche a Ribera, che mostra poca attenzione alle sue tre bande, nonostante la presenza di un Istituto musicale. Poche le vocazioni a entrare in banda, i giovani cercano altri hobby». 

Nelle bande di altri paesi suonano anche le ragazze, a Ribera no. Come si spiega? 
«È una nostra scelta. La presenza femminile crea innanzitutto difficoltà logistiche. Quando andiamo a suonare fuori ci adattiamo a dormire dove capita, nelle scuole che ci mettono a disposizione per esempio. E poi ... possono succedere cose che non devono succedere. Meglio evitare». 

A che età si può entrare in una banda? 
«A 10 - 12 anni». 

Come avviene la scelta dello strumento? 
«IL maestro chiede quale tipo di strumento il ragazzo desidera suonare, poi fa una valutazione in base al tipo di labbro, alla lunghezza delle dita. Un labbro robusto è adatto a uno strumento di ottone. Ma sono importanti anche le esigenze della banda: se ci sono già dieci trombe si orienta verso uno strumento che manca». 

Quali sono gli strumenti più richiesti? 
«La tromba e il sax». 

Lei quando ha cominciato? 
«Nel '71, a 10 anni, col maestro Cinà. Ho iniziato con la tromba, poi sono passato al basso, sia per problemi salivari che per esigenze numeriche. Ma sono contento di aver cambiato, perché questo strumento mi dà tante soddisfazioni. Sono, infatti, richiesto frequentemente da tante bande del circondario, e persino della Calabria. E con le bande di S. Biagio Platani e Serradifalco sono andato anche in tournée in Francia e in Germania». 

Lei ha un titolo di studio musicale? 
«No. "Bandisticamente" non ho alcun titolo ufficiale; sono soltanto ragioniere, ma questo ha a che fare poco con la musica». 

E chi le dà l'autorità per dirigere una banda? 
«L'esperienza e l'averla amministrata fin dal '77. Nell'84, dopo la scissione, la banda era stata diretta dal maestro Schillaci e io ne ero il cabobanda. Schillaci 5 anni fa si è trasferito a Rimini, dove insegna, e quindi la banda è rimasta sulle mie spalle. Molti mi reputano un ottimo organizzatore». 

Di quanti elementi è composta la sua banda? 
«35, tutti riberesi. Il più piccolo, Rosario Zabbara, ha 14 anni, il più grande, Ambrogio Salmeri, 76. Nel passato abbiamo avuto elementi di 85 anni, come Antonino Tramuta, che suonava il flicorno contralto. Della banda fanno parte due diplomati in strumenti musicali, più altri tre o quattro che studiano per il diploma». 

C'è da guadagnare in una banda? 
«Non si può certo vivere di quest'attività, soltanto la passione ci può portare a fare certi grandi sacrifici. Nelle feste si comincia a suonare all'alba e si termina a notte inoltrata. Quel che ci danno - 70 o 80 mila lire al giorno a testa - non può neanche compensare una giornata lavorativa che supera spesso le 12 ore consecutive. A Siculiana, per esempio, la mattina si fanno 4 ore e poi alle tre del pomeriggio si esce in processione per rientrare alle tre di notte. 16 ore, di cui 12 di fila». 

E come fate per mangiare, per soddisfare le normali esigenze fisiologiche? 
«Facciamo i turni. È in provincia di Agrigento, comunque, che si fanno le feste più pesanti». 

Lei crede che sarebbe possibile organizzare regolarmente, tutto l'anno, dei concerti bandistici all'aperto alla villa comunale o in piazza Duomo? 
«Sarebbe il modo migliore per dare continuità a una tradizione musicale di tutto rispetto». 

E che cosa si può fare per promuoverli? 
«La cosa che più necessita è una sala per le prove. Quando accompagnavamo i funerali potevamo permetterei di affittarla. Oggi non più, per le prove dei concerti estivi è stato il preside Scrivano che ci ha consentito di utilizzare la palestra del Magistrale. Ma c'era caldo! Sarebbe necessario che il Comune assegni alle tre bande una sala, che serva solo per questo, perché noi dobbiamo lasciarci gli strumenti. L'attuale amministrazione comunale è stata sensibile nell'incoraggiarci a fare i tre concerti estivi e nel darci contributi per le feste locali e civili. Ci manca il contributo per fare attività didattica. Da due anni non diamo più lezioni ai bambini».
Giuseppe D'Anna, 36 anni, scapolo, capobanda, ragioniere, agente di viaggio. 


Quante cose può dare la banda…
Nel tempo presente, in cui il consumismo e il materialismo fanno dimenticare alla gioventù i veri valori dello spirito, la Banda svolge un ruolo di grande prestigio, perché ha il potere di produrre sentimenti di alto valore morale, spirituale e patriottico. La musica bandistica è cultura generale, equilibrio ritmico, inserimento sociale ed eleva lo spirito a nobili ideali. 
La tradizione e la storia della nostra Ribera si è sviluppata anche attorno a questo tipo di attività culturale, che sino ad oggi è perseguita da tanti giovani con grande passione e amore. Molti di loro hanno trovato uno sbocco di vita sociale ed economica, arrivando ad ottenere un diploma di Musica e inserendosi nell'insegnamento scolastico. Ribera conta un numero assai rilevante di strumentisti, che amano e fanno amare le note vibranti degli strumenti musicali. Non a caso è sede di un Istituto Musicale. 
Giuseppe D'Anna 


I componenti del complesso musicale "Washington Navel" 

D'Anna Giuseppe, Flicorno contrabasso in Sib 
Zabbara Rosario, Flauto in Do 
Zambito Giuseppe, Clarinetto piccolo in MiB 
Prof. Bono Giuseppe, I Clarinetto in SiB 
Prof. Giacomazzo Pietro, I Clarinetto in SiB 
D’Aiuto Francesco, I Clarinetto in SiB 
Arcuri Antonio, I Clarinetto in SiB 
Vaccaro Giuseppe, I Clarinetto in SiB 
Nocilla Vincenzo, II Clarinetto in SiB 
D'Angelo Calogero, II Clarinetto in SiB 
Pisciotta Ignazio, II Clarinetto in SiB 
Verde Enrico, II Clarinetto in SiB 
Salmeri Ambrogio, Sax tenore in SiB 
Carchì Giuseppe, Sax tenore in SiB 
Parinisi Michele, Sax tenore in SiB 
Maraventano Max, Sax contralto in MiB 
Di Leo Calogero, Sax tenore in SiB 
Cacocciola Angelo, Sax tenore 
Piazza Alessio, I Flicorno contralto in MiB 
Mongiovì Mariano, I Flicorno contralto in MiB 
Verde Marcello, I Flicorno contralto in MiB 
Renda Giuseppe, II Flicorno contralto 
Perricone Liborio, II Flicorno contralto 
Cusumano Vincenzo I Flicorno baritono 
Pipia Pellegrino, II Flicorno baritono 
Prof. Riggi Onofrio, Flicorno tenore 
Romano Gaetano, Flicorno sopranino in MiB 
Piazza Giuseppe, I Flicorno soprano in SiB 
Cusumano Giuseppe, II Flicorno soprano in SiB 
La Corte Giacomo, I Tromba in SiB 
Buoncuore Giuseppe, I Tromba in SiB 
Di Lucia Carmelo, I Tromba in SiB 
Maraventano Niki, II Tromba in SiB 
Tortorici Gerlando, II Tromba in SiB 

Palminteri Stefano, Tamburo 

La musica a Ribera: nona puntata - La nuova banda musicale "Città di Ribera"

La musica a Ribera: La nuova banda musicale "Città di Ribera"

di Santo Tortorici

parte nona


In "Momenti di vita locale" N. 793 del 18 Dicembre 2005

Storie e personaggi della Rìbera di ieri

La nuova banda musicale "Città di Ribera"
di Santo Tortorici

Nel 1972 si era diplomato il Prof. Salvatore Caramazza il quale in una sua intervista pubblicata dal settimanale Momenti del 9 Novembre 1997, ha ricostruito la costituzione della nuova banda musicale "Città di Ribera" come segue: "assieme ad un gruppo di 12 elementi, ex bandisti di Cinà tra i quali Piddru Lo Giudice, nacque la nuova banda "Città di Ribera". La prima uscita la nuova banda la fece nella Pasqua 1973 per volontà dello stesso Comitato organizzatore della festa che ci diede anche dei soldi per l'acquisto di alcuni strumenti musicali, come la cassa e i piatti. Ovviamente, non erano dodici gli elementi, ma trentacinque poiché avevo reclutato dei musicanti dai paesi vicini.
Salvatore Caramazza
La ‘Città di Ribera’ era formata da 32 elementi, la cui età era compresa tra i 16 e i 60 anni. Suonava, oltre che a Ribera, anche in diverse città della Sicilia: ogni anno era ad Agrigento per il Venerdì Santo e per 8 anni ha partecipato al Carnevale di Termini Imerese insieme al proprio gruppo di majorettes. diventandone punto di riferimento".
Negli anni ottanta il Maestro Enzo Cinà si era già ritirato dalla sua attività musicale, a Ribera nel mentre si erano formate altre due bande musicali dirette rispettivamente dai Maestri di Musica Schillaci e Cappello, per cui in quel periodo operavano a Ribera tre distinte bande musicali dirette dai Maestri Caramazza, Cappello e Schillaci, in concorrenza tra loro nell'accaparrarsi i diversi servizi musicali.
Negli anni novanta, l'Amministrazione Comunale di sinistra del Sindaco Giuseppe Di Salvo, prendendo atto delle tre bande musicali, su proposta dell'Assessore Giuseppe Smeraglia, anche lui professionista della musica, propose di unificare le direzioni delle tre bande in un unico complesso musicale composto da circa 80 elementi.
Nonostante i buoni propositi, la mastodontica banda non ebbe continuità, anche per l'avvenuto trasferimento del Maestro Schillaci a Rimini e del Maestro Paolo Miceli nella Città di Caltanissetta, dove attualmente insegna.
A questi prestigiosi musicisti va aggiunto il riberese Maestro Ignazio Virzì, direttore della banda musicale nella vicina Cianciana.
Oggi a Ribera esiste solamente la banda musicale diretta dal maestro Salvatore Caramazza, il quale mi ha spiegato che per mancanza di allievi attualmente a Ribera non esiste nessuna scuola per la formazione di suonatori.
Fortunatamente, sin dal 1991 opera a Ribera l'istituto Musicale Provinciale "Arturo Toscanini" inizialmente diretto dal M. Domenico Mannella, con locali ubicati inizialmente nel Corso Margherita (ex casa Campello). Dal 2001 l'istituto diretto dai Maestro Montesano e stato trasferito nella via Roma. L'Istituto è oggi pareggiato ai Conservatori di Musica di Stato, ad ogni anno accademico decine di alunni meritevoli conseguono il diploma.
Esso, per le alte professionalità che vi operano, è un ricco patrimonio culturale, sociale ed economico che non può e non deve essere ignorato dagli amministratori locali e provinciali.
Queste mie personali valutazioni sono avvalorate dai tanti successi, già ottenuti, nel corso di diverse esibizioni da parte degli allievi divenuti ottimi professionisti.
A questo fine ritengo sia auspicabile che nel prossimo programma dell'estate riberese, venga prevista anche la realizzazione di una serie di concerti musicali da svolgersi dentro la Villa Comunale.
Per tali spettacoli dovrebbero essere coinvolti sia gli ex che gli attuali allievi, nonché i docenti dell'istituto "A. Toscanini", unitamente ad altre professionalità musicali operanti dentro e fuori del nostro territorio.

Ciò dovrebbe servire sia per allietare gradevolmente l'intera popolazione sia per contribuire ad elevare il gusto musicale e culturale di cui abbiamo tanto di bisogno.

La foto sono state ricavate dal profilo Facebook del maestro Caramazza.

La musica a Ribera: ottava puntata - Le bande musicali dei maestri Cinà

La musica a Ribera: Le bande musicali dei maestri Cinà

di Santo Tortorici

parte ottava


In "Momenti di vita locale" N. 792 del 11 Dicembre 2005

Storie e personaggi della Ribera di ieri
Le bande musicali dei maestri Cinà
di Santo Tortorici

Un tempo tutti i paesi, grandi e piccoli, della Sicilia, erano dotati di una propria banda musicale, che rappresentava sia un fatto economico che sociale e culturale di primaria importanza.
Delle bande musicali paesane si sono occupati famosi registi cinematografici come Comencini nel film "Pane, Amore e Gelosia", il "Maresciallo" di Vittorio De Sica e tanti altri importanti registi cinematografici.
Il Maestro Antonio Cinà era nato il 18 gennaio 1888 a Calamonaci, dove sua madre, Giuseppina Mazza, insegnava. Era coniugato con la signora Antonia Dulcimascolo.
Nel 1915, a seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, il giovane Cinà venne arruolato nel 5° Reggimento di Fanteria, rivestendo il grado di Capitano. Si congedò con quello di Maggiore.
Sul libro "La banda musicale di Chiusa Sclafani", gentilmente fornitomi dal musicante Michele Caltagirone, si legge che nel giugno del 1921, prima dell'avvento del Fascismo, quel Consiglio Comunale decise di nominare il giovane musicista Antonio Cinà direttore della scuola di Musica, alla quale affluirono numerosi giovani che, in breve tempo, diedero vita ad un ottimo complesso musicale rinomato in tutta la Sicilia.
Fra i numerosi allievi del Maestro Cinà, lo storico Giuseppe Di Giorgio, di Chiusa Sclafani, menzionava "i professori di musica Pietro Giglio, Nicolò Di Gregorio, Camillo Liberto e Francesco Cottone".
La direzione della Banda Musicale di Chiusa Sclafani, da parte del Maestro Cinà, è durata fino al 1929, quando il Comune di Ribera decise di istituire nella propria pianta organica il posto del "Maestro di Musica", per il quale venne chiesto appunto al Maestro Cinà di rientrare nel suo paese.
Appena assunto dal Comune, con vero entusiasmo si adoperò per la riuscita dell'incarico e ben presto circa 50 giovani, quasi tutti artigiani (calzolai, barbieri, falegnami), bottegai e piccoli impiegati, formarono il primo gruppo bandistico di Ribera.
Corso Umberto, inizio degli anni '30. La banda musicale in occasione di una festa paesana. Si riconoscono, tra gli altri, Cinà, Macaluso, Samaritano, Lo Giudice, Mondino. (da E. Minio, Paesi in bianco e nero)
Il Comune aveva messo a disposizione della banda un locale nel cortile di via Pasciuta, dove tutte le sere venivano effettuate le prove musicali.
Inoltre, erano stati comprati degli strumenti musicali (in parte attualmente conservati in casa del figlio Enzo) utili per l'esecuzione dei concerti di musica operistica. Tra questi, il triangolo, due maestosi timpani, una grancassa con la scritta "Banda Musicale di Ribera" ed altri strumenti a fiato come il grande basso, il bombardino, ecc.
La banda musicale del Maestro Antonino Cinà poteva contare su un ricco repertorio lirico, che andava da Verdi con Rigoletto, Traviata e Aida; a Rossini, Il Barbiere di Siviglia, Guglielmo Tell, Semiramide; a Donizetti, con Lucia di Lammermoor; a Bellini con Norma, Sonnambula; a Puccini, Ponchelli e Leoncavallo. Alla chiusura dei concerti non potevano mancare il popolare "Gran canzoniere" e le marce di grande effetto di Riccardo Wagner, la Fantasia di Pietro Mascagni, ecc.
Il corpo musicale disponeva di numerosi strumenti a fiato e a percussione tra i quali: ottavini, flauti, clarinetti, sassofoni, corni, cornette, trombe, tromboni, bassi, flicorni, timpani, piatti, triangolo, tamburi e la grancassa.
Nel periodo estivo, quasi tutte le sere del sabato e la domenica, il Maestro Cinà e i suoi Musicisti in elegante uniforme bianca (d'inverno era nera) salivano sul palco della musica e venivano accolti dagli applausi della popolazione. Il palco della banda veniva collocato sul marciapiede del Corso Umberto I all'altezza del Palazzo Comunale, sfarzosamente illuminato, sotto il quale, prendevano posto gli appassionati come Giuseppe Aprile, il quale si deliziava fischiando brani di opere liriche.
Antonino Cinà (1888-1958)
Presso l'Archivio Comunale di Ribera ho trovato la copia del Programma Musicale, scritta in bellissima calligrafia, dalle mani dello stesso maestro Cinà, nel quale vengono elencati gli autori e le opere eseguite la sera dei 23 luglio:
Ore 21 - 23
TANNHAUSER
Marcia di P. Wagner
LODOLETTA
Fantasia di P. Mascagni
DUCHESSA del BAL TABARIN
Operetta Leon-Bard
ARRIVEDERCI .... MIMI'
Fox-Trot di G. Bonavolta
AURORA
Marcia di S. Orlando

Durante l'esecuzione delle opere liriche i cittadini sospendevano il loro passeggio lungo il Corso, soffermandosi tutti attorno al palco per ascoltare con interesse e nel massimo silenzio, in particolare l'esibizione dei bravi solisti. Soltanto durante gli intervalli musicali le numerose famiglie riprendevano il passeggio salendo e scendendo lungo il Corso Umberto I in attesa della ripresa dello spettacolo musicale.
Il corpo musicale di Ribera, annoverava tanti bravissimi musicisti solisti, tra i quali ricordo: il famoso Giuseppe Urso con il suo incantevole flicornino, che divenne successivamente componente della Banda Musicale dei Carabinieri di Roma. Anche il giovane Giovanni Mondino, solista di tromba, divenne componente della Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma; mentre il giovane Vincenzo Mazzotta, in tarda età, è riuscito ad ottenere il diploma di insegnante di Musica nelle scuole pubbliche. Altri solisti da ricordare sono: i fratelli Andrea e Paolo Schillaci, con le loro trombe, Onofrio Firetto, suonatore del trombone cantabile, i fratelli Segreto, Eduardo Ceresi con il clarino e tanti altri.
Un autorevole ruolo musicale e dirigenziale veniva svolto dal capo banda Fortunato Mondino (padre di Giovanni) che suonava il bombardino (era noto alla cittadinanza per la sua enorme "grattalora" cioè grattugia, esposta davanti alla porta della sua bottega in corso Margherita).
Tra i solisti di clarino, desidero ricordare il popolarissimo Ignazio Vaccaro, detto "Curciuliddru", il quale la sera, fino a tarda notte, con il suo strumento, ci intratteneva seduti sugli scalini del Cinema Sarullo, suonando ripetutamente il suo cavallo di battaglia, "Il Carnevale di Venezia", e tanti altri brani.
La Banda musicale di Ribera, oltre a suonare nelle ricorrenti feste religiose, peregrinava per tante città e paesi della Sicilia, dove si svolgevano dei concerti in competizione con altre bande musicali, ottenendo onori e qualificati riconoscimenti.
Onde evitare ai musicanti il forte disagio del dormire per terra oppure sopra la paglia, nel loro girovagare per paesi e città, il nuovo Maestro Enzo Cinà aveva provveduto a dotare la banda di apposite brandine, dove passare comodamente la notte.
Per le feste religiose locali, come San Giuseppe, Pasqua, il Crocifisso e la festa della Fiera dell'8 Settembre, di buon mattino la banda girava per le vie del paese allietando con le sue note, mentre suonavano le campane delle Chiese e scoppiavano, mortaretti che svegliavano la cittadinanza.
L'ultimo giorno delle feste religiose si concludeva, dopo la mezzanotte, con l'assordante fragore dei giochi di fuoco, che chiudevano in bellezza i festeggiamenti.
I giuochi di fuoco erano costruiti e sparati dal mitico fochista detto "mastru Michiddru' (Domenico Amorelli) e dal suo valentissimo collaboratore Pasqualino Marranca, tragicamente perito durante uno di questi spari.
I giuochi di fuoco iniziavano con la caratteristica partenza dei "circhiteddi", i quali, mentre salivano in aria fischiavano e giravano come la trottola per esplodere in un forte boato. Il gioco di fuoco si concludeva con la "maschiata" dalla quale partiva un miscuglio di mortaretti, furgareddi e mascuna di ogni tipo che esplodevano nell'aria formando tantissimi cerchi multicolori. Alla fine appariva disegnato nel cielo nero un grande quadro infuocato con l'immagine del Santo festeggiato, illuminato attorno da tante piccole candeline, mentre veniva salutato da calorosi applausi della folla presente e la banda suonava le marce musicali.
La banda suonava anche all'inizio di molti cortei funebri, accompagnandoli fino alla fine del paese, oppure, su richiesta degli parenti, fino ai cimitero. Alcune famiglie preferivano che la musica non suonasse durante l'accompagnamento, ma accadeva che delle vecchiette, prima di morire, raccomandavano espressamente ai loro eredi che ai funerali la banda suonasse, per fare sapere a tutta la cittadinanza chi era morto.
Ricordo che prima dell'inizio della Seconda Guerra Mondiale vi era l'usanza che alle feste di matrimonio presenziasse un'orchestrina musicale: si ballava fino all'alba e subito dopo i novelli sposi venivano accompagnati da tutti i parenti e amici alla nuova abitazione. Durante il percorso, si sentiva il suono della squillante tromba del vecchio Serafino Mazzotta, del violino di Piddru Costa, del clarino di Ignazio Curciuliddru e della chitarra di Nunzio Favaloru.
Da giovanissimo, e soltanto per pochissimo tempo, anche io ho avuto il piacere di fare parte del corpo bandistico dei Maestro Antonio Cinà, suonando il "Flicorno Tenore".
Non gradendo, però, partecipare agli accompagnamenti funebri e non ritenendo di possedere adeguate doti musicali, ho deciso di ritirarmi.
Il primo gennaio 1955, per raggiunti limiti di età, il Maestro Antonio Cinà andò in pensione. Morì il 23 aprile 1958.
La direzione della banda musicale di Ribera venne affidata al figlio Maestro Enzo Cinà, nato a Ribera il 20.05.1919, il quale, pur essendo divenuto nel 1961 docente di Musica presso l'istituto Magistrale di Ribera, rimase ugualmente a dirigere una sua banda.
Negli anni cinquanta il giovane Maestro Enzo Cinà aveva costituito una sua orchestra denominata "Complesso musicale Enzo Cinà", del quale fecero parte numerosi orchestrali tra cui: Fofò Di Leo, Antonino Vullo, Nunzio Favaloru ed altri.
Il complesso musicale si esibiva in tutte le ricorrenze di fidanzamento, matrimoni, recandosi anche fuori di Ribera, come dimostra una foto scattata in un trattenimento presso un Cinema di Sciacca. Negli anni settanta, a causa dei sorgere di dissensi interni, la banda musicale di Ribera è entrata in crisi ed alcuni importanti componenti l'abbandonarono per formarne una nuova, dal nome "La veloce", che venne capeggiata da Gaspare Macaluso e dal Capo banda Gaspare Poggio. La "Veloce" operava in concorrenza con la banda del Maestro Cinà, cercando di accaparrarsi dei servizi musicali, sia per le feste religiose che per i funerali.
Il Maestro Enzo Cinà, sentitosi leso professionalmente, intraprese un'azione giudiziaria nei confronti dei Macaluso, ritenuto legalmente non abilitato alla direzione di una banda musicale, essendo sfornito di idoneo titolo di studio.

Il Maestro Cinà vinse la causa con la condanna del Macaluso al pagamento delle spese giudiziarie e l'inibizione della banda Musicale "La Veloce".
Momenti di vita locale n. 990 del 15.11.2009

La musica a Ribera: settima puntata - I Cinà

La musica a Ribera: I Cinà

di Raimondo Lentini

parte settima

Albero genealogico della famiglia Cinà
I Cinà. La famiglia Cinà venne a Ribera proveniente da Bivona con mastro Gerlando (nato a Bivona nel 1759 e morto a Ribera il 4/4/1824 a 65 anni) figlio di Filippo e Carmela Maniscalco. si era sposato a Palazzo Adriano (o a Bivona) con Maria Anna Francaviglia (nata a Palazzo Adriano nel 1766 e morta a Ribera l'8/11/1832) figlia di Giorgio e Giuseppa. I Cinà per tutto l’800 a Ribera erano calzolai. Da questa coppia nasce a Ribera il 15.2.1803 mastro Antonino (morto il 17.6.1844 a 41 anni) che si sposa pure a Ribera il 23.11.1826 con donna Giuseppa Velasco (morta a Ribera il 17/1/1859 a 52 anni) figlia di don Antonino, dottore in medicina, e di Faustina Bisogni. Ma il primo che entra a far parte della banda di Ribera è il loro figlio don Antonino Cinà (nato il 6/9/1830 e morto a Ribera l'8/5/1913) sposato per ben tre volte: la prima volta il 10/3/1853 con donna Mariangela Parisi vedova di don Liborio Puccio e figlia di don Pietro (aromataio) e donna Giuseppa Luna, poi con Caterina Cannella e infine con Giovanna Samaritano. Ma solo Giuseppe Antonio Cinà, figlio di don Antonino e donna Mariangela Parisi, diventa direttore di banda, mentre altri due figli suonano nella banda del fratello. Giuseppe Antonio Cinà, primogenito, era nato a Ribera il 3 agosto 1854 si sposava a Calamonaci il 28/12/1885 con Giuseppina Mazza (nata ad Agrigento il 6/2/1861 e morta a Chiusa Sclafani il 23/2/1933) maestra elementare figlia del fu Vincenzo e di Alfonsa Alaimo. Muore a Cattolica Eraclea il 19.6.1900 dove aveva vinto il concorso per maestro della banda di quel comune. Il secondogenito Pietro Cinà era nato a Ribera il 29/11/1855 si era sposato in prime nozze il 5.8.1870 con Margherita Schittone e in seconde nozze il 17.2.1896 con Rosalia Trapani. L’altro maschio era Alfonso Cinà nato a Ribera il 10/8/1860 e morto in America si era sposato a Ribera il 21/7/1891 con Marianna Parisi.
Giuseppina Mazza (1861-1933) moglie di Giuseppe Antonio Cinà (non ci è pervenuta nessuna foto del marito)

Antonina Dulcimascolo (1885-1966) moglie di Antonino Cinà
Antonino Cinà (1888-1958)
Da Giuseppe Antonio Cinà e Giuseppina Mazza, tra gli altri figli nati tutti a Calamonaci, il 18.1.1888 viene alla luce Antonino. Nel 1915, a seguito dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, il giovane Cinà venne arruolato nel 5° Reggimento di Fanteria, rivestendo il grado di Capitano. Si congedò con quello di Maggiore. Questo continuerà il mestiere del padre e dirigerà la banda di Chiusa Sclafani: “Un notevole impulso ebbe la banda di Chiusa sotto la direzione di Antonino Cinà da Ribera, il quale, con deliberazione del consiglio comunale n. 25 del 19 giugno 1921, fu nominato maestro della scuola musicale, alla quale affluirono numerosi giovani che diedero vita, in breve tempo, ad un ottimo complesso musicale. Fra i numerosi allievi del Maestro Cinà lo storico locale Giuseppe Di Giorgio menziona Pietro Giglio, «diplomato poi in clarinetto», Nicolò Di Gregorio, Camillo Liberto e Francesco Cottone. La direzione di Antonino Cinà durò fino al 1929 allorché il Maestro riberese fu reclamato dalla sua città natale, per andare a dirigere la locale banda musicale, lasciando un vuoto nella banda di Chiusa.” (A. G. Marchese, La banda musicale di Chiusa Sclafani).
Antonino Cinà in età avanzata
Nel “Dizionario della musica italiana per banda - Biografie dei compositori e catalogo delle opere” di Marino Anesa a proposito dei Cinà leggiamo: «
Cinà Giuseppe Antonino (Ribera, ? - ?, ?) Dirige le bande di Ribera e Chiusa Sclafani (fino al 1929, anno in cui ritorna a Ribera). Fonti: «Risveglio Bandistico», a. 4, n. 10, ottobre 1949, p. 8. Composizioni: Il Progresso. Marcia, Di Bella, n. 524 - Volontari italiani. Marcia, Di Bella, n. 531 (VALb, p.ms. col titolo “Ai Volontari d’Italia”, «Torino 1888»). Cinà Antonio - Composizioni: “Colle Rotondo” Gran marcia militare (SBBcd. p.ms. 1903). Cinà Giuseppe Antonino - Composizioni: “Dolce impressione”, Vergoni, n. 2057 (Tr Ob. 25/2, p.st.) - “L’Epoca”, Valzer da concerto, Vergoni, n. 2056 (BRb AA5.P2.”, p.st., con annotazione manoscritta di proprietà del 1898; Tr. Ob.25/1, p.st.) - “Onore al merito!” Marcia militare, Nobili, 1898, dedicata a Niccolò Gallo Ministro della Pubblica Istruzione (SIMb, p.st.) - “Il sospiro dell’anima”, Mazurka, Carocci, n. 139 - “Vita beata”, Vergoni, n. 2058 (Tr Ob. 25/3, p.st.).»
Il compositore sembrerebbe essere Giuseppe Antonio, ma alle date di pubblicazione di alcune di queste opere egli era morto, probabilmente vennero pubblicate postume.
Antonino Cinà si sposa a Ribera (in casa della sposa) il 15/6/1929 allo Stato Civile e il 18 in Chiesa, con Antonia Dulcimascolo (nata a Sciacca il 17.7.1885 e morta a Ribera il 30.9.1966) di Alfonso e di Vincenza Baldassano. Muore a Ribera il 23/4/1958. 

Vincenzo Cinà figlio di Antonino (1919-2011)

Due figli di Antonino vengono avviati alla musica: Alfonso, nato a Ribera il 6/8/1916 ma che purtroppo muore giovanissimo a La Spezia il 24/6/1945 e Vincenzo, nato a Ribera il 20/5/1919 e sposato il 23.4.1947 con Caterina Corso e morto il 19.12.2011, insegnante di musica, direttore della banda di Ribera fino a tarda età.
Ribera, 28 luglio 2015