lunedì 29 giugno 2015

LILLO MILIANO NEL RICORDO DI FRANCO QUARTARARO (ARCHITETTO) IN UNA LETTERA AD UN AMICO SUL VALORE DELL'AMICIZIA


Caro Gianni,
disquisire sul significato dell'amicizia non è mai facile, perché non esiste una definizione univoca e spesso, ci lasciamo plagiare da modelli espressi dal cinema e dalla narrativa. Concordo con Te che dare dell'amico a qualcuno richiede qualche cautela. L'amicizia non è merce di scambio, ma qualcosa di molto più complesso. Penso che neanche scrivere un'enciclopedia sul tema sia sufficiente per descrivere esaustivamente il concetto.
Tenterò di dare un mio modestissimo contributo riguardo l'amicizia partendo da una dura esperienza di vita.
Circa 20 anni fa, ho vissuto l'esperienza di Garrone e, davanti un letto, ho provato terrore, impaccio, inadeguatezza, sconforto e bisogno di allontanarmi, per la visione dell' insostenibile sofferenza del mio fraterno amico Calogero (che riposi in pace), che pochi giorni dopo ci avrebbe lasciati. Compagni dai tempi dell'asilo, elementari, medie e superiori, studio tecnico in società e non solo: sono cresciuto a casa sua, con sua madre e suo padre, maestri elementari che ci facevano fare i compiti tutti i pomeriggi e che dicevano di avermi adottato. Persona dal fare trasparente e incapace di mentire, era capace di grandi slanci commoventi e abnegazione; soprannominato "lu parrino" (il prete) perché quando c'era da dare una mano era sempre in prima fila, sia che si trattasse di accompagnare in macchina qualcuno dall'altra parte della Sicilia, aiutarti a spostare i mobili di casa, ridipingere una stanza, riparare un impianto elettrico, che prestarti dei soldi. E' stato alla mia laurea, al mio matrimonio, e quando era a Palermo era sempre mio ospite. La notte che muore suo padre (allora abitavo a Ribera), prendo la macchina e lo accompagno a Palermo a prendere la sorella Giovanna, allora studentessa universitaria che morirà (stesso male il padre e i figli) qualche anno dopo, a soli 30 anni. Il viaggio di ritorno a raccontar balle sostenibili per non spaventare la ragazza. Lui, pur sapendo, sostenne il gioco con la faccia sconvolta e la morte nel cuore; ma al buio, la sorella seduta accanto a lui, non lo vedeva...  io, allo specchietto retrovisore, sì che lo vedevo....
Abbiamo combattuto tanto per le difficoltà del lavoro, alle volte al limite della legalità, con una complicità sottile e presente che non aveva bisogno di essere sottoscritta. Ci capivamo al volo, anche in mezzo alla gente e senza parlarci. Ridevamo, e anche tanto, grazie all'autoironia che ci contraddistingueva, al limite della sconcezza e anche oltre. Ma c'era una parte delle nostre vite che rimaneva circoscritta dietro una linea sottile che nessuno di noi ha mai valicato, per reciproco rispetto.
Lillo Miliano (a centro seduto) con gli amici sposi Franco Quartararo e Rosalba Barbera
Dopo il funerale, ho visto il vero volto dei cosiddetti "amici": minuscoli individui affetti da protagonismo, interessi, opportunismo e bassezza umana. Non sono più entrato nello studio neanche a riprendere le mie cose, tranne quando fui costretto da un revisore dei conti, per un contenzioso conclusosi dopo da sua morte.
Ho provato un disagio immenso, forse perché non ho valorizzato più di tanto quell'amicizia quando era in vita. Lui non c'è più, e nella rielaborazione della perdita ho imparato a dare un peso diverso all'amicizia. Conosco sempre più gente (la mia agenda sta esplodendo) ma ho sempre meno amici, e quei pochi che ho me li tengo stretti o li coltivo, come si usa dire... scusa la metafora ma, anche Tu sei nel mio orticello.
Gli amici prima di tutto devono condividere passioni, hobbies e interessi comuni, anche se si frequentano parrocchie diverse. Amicizia è affinità intellettuale anche se culturalmente distanti; è anche la capacità di dare apporto interiore l'altro, come un buon libro, senza preconcetti e integralismi.
Non ho mai saputo dove fosse sepolto, finché tre anni fa venni a sapere da Dino, un comune amico che vive a Ribera, il punto esatto della sepoltura. Dino ci accompagnò (ero con mia moglie che da anni mi diceva di cercare la tomba) e finalmente abbiamo spiritualmente riincontrato l'amico che ci ha lasciati (suo malgrado). In quel momento è stato come se un'anima si staccasse dal purgatorio e filasse in paradiso. Non so se fosse la sua ma, mi sono sentito in pace con me stesso. Avevo chiuso un cerchio.
Non so se darei un braccio per un amico...
dovrebbe essere uno con la "a" maiuscola, ma ripetere un'esperienza lunga 30 anni di tale intensità, una seconda volta nella vita, non credo sia possibile...
intanto, lascio la porta aperta.... non si sa mai!
Meno 8 alla partenza per la Spagna. Temo che l'unico "sollazzo" ispanico sarà fare schioccare la frusta come fanno i domatori di leoni al circo...
Spero di tornar sano... di mente.
Qui la primavera è arrivata di botto. Il termometro è salito di 6°C in una notte!
Abbraccioni a gogò.
Tuo sud-atissimo amico,

Frank

mercoledì 10 giugno 2015

GIUSEPPE NICOTRA 
Poeta favarese


Tra i libri di mio fratello Giuseppe, morto a 21 anni nel 1970 dopo lunga malattia, ne avevo trovato uno di poesie dal titolo “I colpevoli” di un certo Giuseppe Nicotra, che per molto tempo ho creduto fosse suo compagno di scuola o di giochi, ma che poi ho scoperto che aveva 11 anni più di lui. Non so che rapporti avessero i due ma nel libro c’è la firma autografa dell’autore, sicuramente facevano parte della stessa compagnia di amici.
Io non avevo la vena poetica classica di mio nonno Raimondo Lentini, ma leggendo e rileggendo le poesie del Nicotra mi ci rispecchiavo sia per carattere introverso e melanconico e così ogni tanto componevo delle poesie ispirandomi alle sue. Per questo motivo ho tenuto e tengo ancora l’opuscoletto del Nicotra conservato come una reliquia: mi fa ritornare alla mia infanzia rattristata prima dalla morte di mio padre e poi da quella di mio fratello Giuseppe più grande di 10 anni di me. Giuseppe Nicotra era nato a Favara il 9 maggio del 1938 da Salvatore e Rosa Saieva. Negli anni 70 aderisce al gruppo ADES. Con il pittore Vincenzo Patti, noto acquerellista, ed il poeta dialettale Gaetano Quaranta, negli anni ‘80 fondò l’associazione culturale “Cormorano”. È morto il il 6 aprile del 1992. (vedi G. Cilona, Uomini di Favara)
Raimondo Lentini


La Via n. 8 Agosto 1968

I COLPEVOLI
raccolta di poesie di GIUSEPPE NICOTRA
L'AUTORE 
È uscita, coi tipi della Bino Rebellato Editrice la prima raccolta di poesie di un nostro giovane concittadino: Giuseppe Nicotra.
Forse parecchi nostri lettori per la prima volta sentono il nome di Nicotra, nonostante egli da parecchio tempo si dedichi all'arte con passione: ciò dipende certamente, in gran parte, dalla natura del nostro autore schiva da ogni forma di pubblicità e di arrivismo a qualsiasi livello.
La sua attività, infatti, meriterebbe tante simpatie, tanta comprensione per ciò che di buono già contiene e per ciò che di migliore potrà darci in ulteriori produzioni e sbocchi artistici.
La raccolta pubblicata va sotto il titolo de "I colpevoli". Gli appunti che sto per fare non vogliono essere una recensione, né un encomio di convenienza, né la facile critica di un superficlale; ma solo le impressioni di un lettore che conosce un po' l'autore, che ha scambiato pareri e punti dl vista con lui, che ha raccolto, mentre in un occasionale convivio si leggevano alcune liriche pubblicate, critiche positive e no, consensi e dissensi dei circostanti.

OPERA AUTOBIOGRAFICA 
La caratteristica fondamentale che balza evidente dalla raccolta è il sincero carattere autobiografico che promana da ogni pagina, da ogni lirica, da ogni verso: Giuseppe Nicotra, il modesto ragazzo dell'ultimo banco dei giorni di scuola, è il vero protagonista de "I colpevoli", con le sue ansie, i suoi dolori, le sue nostalgie, le sue accuse, le sue pene, i suoi dinieghi.
Un protagonista prigioniero tra grigie pareti senza aperture, senza appigli, tra mura insormontabili costituite dall'indifferenza della società, dall'incapacità di adattarsi agli schemi convenzionali, dal disagio di vivere, dal rifiuto del compromesso, dalle negazioni che man mano si vanno sommando, lasciando il nostro allo scoperto da ogni difesa, solo, tristemente solo, paurosamente solo.

UN PROTAGONISTA AL BUIO
Un protagonista al buio! Buio profondo, buio spaventoso, buio nel quale o si muore o si scava ancora disperatamente con la mani, col cuore, coll’intelletto, con la fede, fino a ritrovare il primo spiraglio di luce, tenue tenue, ma capace di portare sù, sù a sorgenti di luce sempre più luminose.
Troppo buio, in atto, nella poesia di Nicotra!
Ma l'artista è giovane, pur nella antichità delle amarezze e delle tormentate riflessioni. Ed egli stesso non esita a confessare che la maturazione è di là da venire, anche se vicina; e con la maturazione possono arrivare l'equilibrio artistico, il superamento di attuali incoerenze e contraddizioni, la riscoperta di certi valori, l'apprezzamento di antichi e nuovi ideali o almeno "le trascendenti illusioni" di foscoliana memoria.
Del resto un fugace accenno il verso di chiusura della lirica “Ho rifiutato la segnaletica vigente", può già voler dire qualcosa:
“Un pugno di pagine bianche resta per noi".

IL NOSTRO AUGURIO
E allora, caro Nicotra, potranno essere nel tuo canto l'umano nobile sforzo, riesca o non riesca, di sollevarsi dalle miserie materiali e morali, la dignità di un lavoro il quale dia sollievo a chi lo esegue e a chi lo richiede, il calore di una famiglia in cui vicendevoli siano l'affetto e la comprensione, una fede da abbracciare che supplisca alla debolezza dell'umano intendere.
L'arte così troverà in so stessa, nolle vicende umane, nella natura, in
Dio anche motivi di pacata serenità, di vita e di gioia e non solo di morte o di dolore.
In "Abbattimento" il poeta così si esprime:
“………………………….Lasciate
io cada sfinito tra sassi;
lasciate che gli altri
raggiungano in alto da primi; 
io non ho forza per fare altri passi,
io non ho voce per chiamare aiuto
o non ho casa per tornare indietro. 
Andate avanti
senza di me.
Sento ch'è inutile vincere l’erta,
sento che ai limiti di questo cammino
c'è il vuoto silenzio”.

A questi versi così belli, ma troppo amari, rispondiamo con altri versi pur belli, pur amari, ma con un orizzante. Sono di un grande poeta americano, James Langston Hughes e li trascriviamo con l'augurio che nel domani artistico le poesie del Nicotra - siano sempre più belle e possano anch'esse contenere una luce ed un invito a sperare nella vita:
“………….. ti dirò che la mia vita
non è stata una scala di cristallo,
ma una scala di legno tarlata,
con dentro i chiodi
e piena di schegge,
e gradini smossi, sconnessi,…
Ma sempre ho continuato a salire,
ed ho raggiunto le porte, 
ed ho voltato gli angoli di strade
……………. io continuo a salire,
tesoro mio, a salire…
E la mia vita
non è stata una scala di cristallo.
LILLO ARANCIO

La Via n. 9 Settembre 1968

CONSENSI E DISSENSI
PER LA RACCOLTA DI POESIE “I COLPEVOLI” DI G. NICOTRA
I nostri giovani lettori non accettano passivamente quanto sentono e leggono, ma reagiscono, molto spesso con uno spirito critico veramente maturo ed equilibrato.
Perciò con piacere abbiamo ricevuto e attentamente letto due critiche prese di posizioni sulla raccolta di poesie di G. Nicotra, intitolata "I colpevoli”.
L'aver già pubblicato una nostra recensione dell'opera, non ci permette di pubblicare per intero i due scritti di GIUSEPPE GIUDICE e di GIUSEPPE SORCE. Ci scusino perciò se siamo costretti a pubblicarne solo alcuni brani, tra i più significativi.
Ci congratuliamo intanto con loro e li ringraziamo sentitamente.
Il Direttore


… Il Nicotra macera il suo dolore in un'ansia spasmodica, continua
che non gli lascia il tempo di curare la forma e l'estetica delle liriche, tutto teso ad una febbrile ricerca di se stesso, ad un immane sfogo dell'anima, sfociando nel frammento, nel singhiozzo della lirica stessa.
… Il fermento della vita attuale, l'invasione del progresso tecnico, che rischia di ridurre l'uomo ad un automa, hanno creato nell'individuo moderno stanchezza, perplessità, quasi impotenza dinnanzi agli effetti di una civiltà meccanizzata, onde l'essere umano si sente minuscolo, in difeso e volge lo. sua attenzione a certe pieghe nascoste dello spirito, a certe sensazioni dell’animo, ove la macchina non può ancora arrivare.
Per questo motivo la poesia di Nicotra è viva e attuale, in quanto ci
presenta fenomeni scaturiti da questa ansia dilagante verso una profonda continua ricerca interiore.
… Da un esame superficiale delle poesie del Nicotra non trapela alcun ideale; ma lo. sola forza di scrivere versi e pubblicarli, per di più a Favara, dimostra che nel nostro amico c'è l'ideale della poesia, di una poesia che ha bisogno di comprensione, che cerca un alito di speranza… In esse sembra ci sia l'annuncio che questo vuoto, questo sconforto ricerchino ideali eterni ed eccelsi…
GIUSEPPE GIUDICE

… Qual è il motivo fondamentale che anima la poesia di Nicotra?
Non si può dire che sia l'amore oppure l'ansia, ma è tutta la vicenda umana e poetica del nostro concittadino che sta alla base della sua composizione: un "animo tormentato senza luce"!
… Egli ha perduto, pur non volendo, la fiducia in ogni ideale in quanto deluso da tutto e da tutti, dalla società e dall'amore… Perciò egli si sente solo e tende a chiudersi pur non volendo, nella sua inquietitudine interiore.
… L’opera pecca di un autobiografismo eccessivo…; mentre dovrebbe aprirsi ad una visuale più ampia ed universale: si ha la vera poesia quando il mondo spirituale che essa rispecchia sia, oltre il mondo dell'autore, anche quello dell'umanità, sicché il lettore, leggendo quella determinata poesia, vi veda precisamente il dramma umano che egli stesso, forse, vive.
… L’augurio: che il Nicotra ritrovi quella luce che gli è venuta meno e che può trovare soprattutto nella fede cristiana che rasserena tutti gli animi tribolati ed avviliti.

GIUSEPPE SORCE
LILLO MILIANO NEL RICORDO DI RAIMONDO LENTINI


Da un po di tempo che penso di scrivere qualcosa su un amico di gioventù scomparso prematuramente e che quest’anno si ricordano i 20 anni dalla morte. Questo amico è Lillo Miliano che ho conosciuto negli anni ’70.

Per raccontare di lui devo premettere che io sono venuto a Ribera proveniente da Favara nel luglio del 1969 all’età di dieci anni. Sono rimasto orfano a tre anni e per motivi gravi di famiglia, ci siamo trasferiti con mia madre e mio fratello in via Quartararo (INA CASA) e nello stabile dove abitava Antonio Corda, un altro amico d’infanzia morto pure prematuramente, anche lui orfano di padre che abitava con la madre e la sorella. Lui e Lillo Vaccaro sono stati i primi amici con cui giocavo a Ribera e che mi hanno introdotto nella vita sociale, o meglio della strada.
Lillo Miliano era cugino di Antonio Corda e così ebbi modo di conoscerlo, ma abitava in un altro quartiere e non frequentavamo la stessa scuola, ma il problema maggiore era la disciplina che vigeva in casa sua. Lillo Miliano era nato a Ribera il 19 giugno 1958 da Filippo e Maria Mira. Il padre, molto rigido nell’educazione, era maestro elementare come anche la madre. Egli lo obbligava nel pomeriggio a studiare fino ad un certo orario, e poi poteva uscire per un poco ma rientrare molto presto. Ciò anche da adolescente. Poi, dopo molte insistenza anche da parte nostra, si riuscì a convincere il padre a farlo rientrare un po più tardi.
Mano a mano la conoscenza cominciò a diventare amicizia e ci frequentavamo sempre più spesso specie dopo le scuole medie e dopo che Antonio Corda se ne andò con la famiglia in America.
Alle superiori tutti e due siamo andati all’Istituto Tecnico per Geometri, ma lui era al corso A mentre io al corso D e poi C. 
Gli anni più intensi di frequenza furono dal 1974 al 1977. In quel periodo avevamo anche conosciuto Vincenzo Graceffo molto più grande di noi (classe ’52 mentre noi ’58 e ’59) il quale era molto esperto in passeggiate per le campagne di Ribera. Infatti tra le altre attività della compagnia vi era l’esplorazione del territorio.
Dopo averlo “svezzato”, Lillo cominciò a frequentare la “chiazza” ed altri amici, ma per il suo caratteristico aspetto, la faccia allungata, il mento anch’esso lungo, la mancanza di un incisivo centrale superiore e soprattutto per la sua indole ilare, era spesso preso in giro da tutti. Addirittura ricordo che qualche volta, quando andava in piazza, gli si attorniava una folla di ragazzi che si divertivano alle sue spalle e noi ogni qualvolta lo vedevamo in quelle situazioni cercavamo di trascinarcelo fuori portandolo con noi. Fortunatamente egli aveva un carattere forte e sapeva stare allo scherzo, altrimenti la sua psiche avrebbe potuto avere conseguenze deleterie.
Fondamentalmente buono e degno di fiducia, noi lo avevamo come vero amico. Nella Chiesa Madre avevamo fatto con l’arciprete Birritteri una specie di Azione Cattolica sistemando anche con le nostre risorse un garage in via Trionfo per le riunioni, ma anche per organizzare scherzi da fare agli amici. Quindi la Chiesa Madre era il nostro quartier generale per combinarne di tutti i colori.
Essa era inagibile dal 1969 e noi aprendo le porte “allapazzate” entravamo dovunque, nella canonica, sui tetti, e dentro la stessa chiesa diroccata.
Allora funzionava da Chiesa Madre il salone detto “del Bambino” e lì gli scouts avevano lasciato, insieme ad altri strumenti, anche una batteria (era il periodo in cui era entrato nella liturgia il canto e la musica moderno e spesso anche il complessino) e Lillo si innamorò di quello strumento e spesso lo si trovava nella sede a suonare da solo.
Molte volte giravamo di notte sui tetti con delle candele o lanterne, ma anche dentro la Matrice e sul campanile e qualche volta dei vicini ci avevano visto e telefonavano all’arciprete credendo ci fossero i ladri. Ma ecco cosa scrivevo nel 1981 ricordando quei tempi:
 “Nel frattempo conobbi Vincenzo Graceffo, con il quale andavamo insieme ad altri (Lillo Miliano, Antonio Corda, che già conoscevo da molto prima) ad esplorare le campagne limitrofe. La cosa più importante che scoprimmo casualmente fu la grotta della sorgiva di S. Rosalia. Io, Vincenzo e Lillo nel mese di giugno del 1975 (o 74) girando per le terre di Ribera ci è venuto in mente di visitare le grotte (in effetti le piccole insenature nella roccia) di S. Rosalia, proprio sotto Ribera o meglio sotto la Piazza di S. Rosalia.
Lungo la strada ferrata della ferrovia, allora ancora in funzione, in quella zona abbiamo scoperto che c’era una casa (probabilmente di una centrale elettrica o di acquedotto) abbandonata e vi erano delle attrezzature dismesse. Ci siamo divertiti un sacco a smontare strumenti e vi tornavamo spesso.
Altre volte attraversavamo la galleria ferroviaria, lunga più di un chilometro, che passa sotto Ribera col pericolo che poteva passare il treno (in effetti non molto velocemente).
 Dicevo che in quel giugno abbiamo deciso di salire per un sentiero sopra la strada ferrata  per andare a finire all’abbeveratoio detto di S. Rosalia con annesso e, mentre scherzavamo con l’acqua, Enzo salì un po più su della fontana e vide un buco non naturale. Guardò dentro e si accorse che era profondo, ma non si vedeva nulla. Ci avvertì ed io e Lillo lo abbiamo raggiunto. Eravamo molto scettici, comunque con un po di coraggio Lillo si chinò per entrarvi. Appena siamo entrati anche noi, prima Enzo e poi io, Lillo continuò a fare qualche passo al buio completo. A terra, sul lato sinistro, scorreva l’acqua che andava all’abbeveratoio mentre quello destro era all’asciutto. Abbiamo proseguito ma con il timore che vi fosse qualche fosso, ma fortunatamente non ce ne erano. Dopo un 10-15 passi, fatti cautamente, Lillo disse che la grotta era finita: una roccia fermava le nostre speranze. Enzo, non convinto, perché sentiva scorrere dell’acqua un po più in là tastò tutta la parete e si accorse che sul lato destro la galleria continuava. Comunque di proseguire non se ne parlava perché c’era troppo buio e così abbiamo deciso di tornare il giorno successivo con delle candele. Non capisco perché proprio le candele e non delle torce elettriche, forse perché più suggestivo.
Il giorno dopo siamo ritornati sul luogo tutti eccitati per quello che ci aspettava: il mistero ci entusiasmava. Appena entrati abbiamo acceso le candele notando che il tetto era composto da conci di tufo murati a V rovescia. Arrivati al punto in cui ci eravamo fermati il giorno prima c’era la svolta a destra con il medesimo tipo di tetto. Successivamente ci siamo accorti che dalla parete di sinistra sgorgava dalla viva roccia acqua freschissima e come del resto era la temperatura all’interno (in effetti nelle grotte la temperatura rimane sempre la stessa per cui la sensazione dipende dalla temperatura esterna).
Proseguendo il tetto si faceva sempre più alto e le pareti più fangose.
Poi improvvisamente la scena che si mostrò ai nostri occhi era veramente straordinaria: la cavità si faceva alta circa 4 metri e le pareti erano bianchissime come il ghiaccio. Continuando a camminare ci siamo accorti che pioveva acqua dal tetto, del resto era logico perché avevamo visto delle stalattiti in embrione!
La pioggia ci spense qualche candela e ci obbligò, con un po di paura, a correre oltre sperando che non piovesse più. Guardando così indietro abbiamo notato un’altra cavità a circa due metri dal piano di calpestio e la cosa ci incuriosì molto. Continuando a camminare il calcare dalle pareti andava scomparendo e le pareti ritornarono di tufo. Ma prima di incontrare il calcare delle pareti avevamo visto una specie di corda nera che dal tetto entrava nel pavimento. La cosa ci aveva preoccupato molto e ci fermammo per controllare cautamente cosa fosse. Dopo un po di panico ci accorgemmo che erano radici.
Continuando la grotta si rimpiccioliva in altezza e poi terminava. Sulla parete destra, una quindicina di metri prima che la grotta terminasse, c’era una finestra murata con accanto incisi dei numeri che credo fosse l’anno di costruzione: 1889 (ma non sono sicuro fosse questo). Il tunnel era stato scavato quasi interamente dall’uomo.
Il giorno dopo siamo ritornati con il costume da bagno sotto i vestiti e così abbiamo potuto esplorare anche la cavità che avevamo visto a due metri dal suolo. Siamo saliti io e Lillo constatando che anche quelle pareti erano bianche, la profondità circa 3,5 metri, l’altezza due metri e 1,2 metri la larghezza. Tutto finiva là: ma era bellissimo!
Qualche settimana dopo abbiamo portato molti nostri amici e abbiamo illuminato il tunnel con delle candele messe nelle cavità laterali.
Abbiamo aperto la finestra trovata murata accorgendoci che si affacciava proprio sotto la cascata e la veduta era bellissima e sembravamo nella giungla. Di tutto ciò ho delle diapositive.
In questa grotta abbiamo anche fatto uno scherzo molto macabro agli amici.
(…)
Gli scherzi e gli scavi
Il nostro hobby era anche scavare per trovare tombe preistoriche o catacombe. In questo ultimo caso volevamo trovare le sepolture della Chiesa Madre diroccata (allora). Pulendo il pavimento dai detriti abbiamo trovato una lapide tra l’altare di S. Gioacchino e quello di S. Giuseppe. La tomba apparteneva alla famiglia Pasciuta. Abbiamo rotto solo un angolo del marmo e praticato un foro di 35 centimetri circa di diametro e piantando un picchetto sotto abbiamo trovato che era vuoto e abbiamo allargato il buco in modo che potesse entrare una persona. Si sono calati Enzo e Lillo sempre con un paio di candele. Lillo aveva messo il piede, appena calatosi, dentro una delle casse scoperte sporcandosi la scarpa di una specie di calce bianca: erano le ossa del morto! Dentro c’erano due o tre casse che sembravano vuote, ma in effetti i cadaveri si erano disfatti ed erano diventati come la calce. Purtroppo era solo una stanza di 2,50x2,40x1,80 metri senza aver potuto scoprire nessuna galleria e niente che assomigliasse a delle catacombe (attualmente la fossa è visibile perché hanno messo un vetro).
Abbiamo così continuato a cercare in altri posti l’eventuale entrata delle catacombe e abbiamo trovato un’altra lapide sotto la falsa cupola e davanti all’altare maggiore. Era del 1760 e vi era sepolto il Barone Turano Campello. Questa volta la lapide era di modeste dimensioni e l’abbiamo sollevata tutta facendo leva in un angolo. Appena divelta e scavando pochi centimetri abbiamo trovato il vuoto ma vi era solo la cassa del Barone. Tolto il coperchio in semplice tavola, dentro sembrava non ci fossero le ossa (le abbiamo trovate successivamente in una ricognizione con il dottore Macaluso).
Avendo io ed Enzo uno spiccato senso dell’umorismo e voglia di fare scherzi abbiamo pensato di organizzarne uno in grande stile utilizzando il legno “stagionato” del coperchio della cassa del Barone, ma abbiamo estromesso dall’organizzazione Lillo.”

Il tempo passava tra scampagnate, esplorazioni, associazione e scherzi. 
Una volta, ricordo, abbiamo trovato nella Chiesa Madre il vecchio catafalco che si usava nei trigesimi per i funerali (prima del Concilio Vaticano II) e moltissime vecchie candele trovate in una scatola, abbiamo pensato di fare una messinscena. Una sera, nella stanza della S. Vincenzo di via Trionfo a piano terra, abbiamo montato il catafalco con il relativo manto nero (che aveva ricamati dei teschi e ossa varie), abbiamo messo le candele accese ai lati della finta bara e anche un po dovunque e quindi illuminata così tetramente la stanza e aperte le imposte ci siamo messi lì dentro a fare finta di piangere. La gente passava e chissà cosa gli sembrava fosse successo…
Un po di tempo dopo ci fu proposto di entrare a far parte della Società S. Vincenzo de’ Paoli (associazione che aiuta i poveri) e così io, Enzo, Lillo, Giovanni Fasulo, Mimì D’Angelo, Santino Zambuto, Jack Clemente, Nino D’Anna, Gaspare Corso ed altri ci siamo iscritti nella sezione giovanile. Ci guidava Vito Cappello. Abbiamo partecipato a alcuni convegni regionali e in questa occasione abbiamo conosciuto tre sorelle di Siracusa che facevano di cognome Mazzarella. Lillo ed io eravamo interessati ad instaurare un rapporto di amicizia che sarebbe potuto sfociare in qualche altra cosa di sentimentale, ma la distanza e la mancanza da parte nostra di mezzi di locomozione autonomi ci ha fatto desistere dal continuare tale rapporto. Prima io e poi Lillo siamo andati a trovarle per qualche giorno ospiti in casa loro ma in periodi diversi.

Nel frattempo l’arciprete Birritteri aveva ospitato in casa una ragazza dell’orfanotrofio, Enrichetta Lo Sardo, e Lillo ci andava spesso essendo questa frequentata anche dalle compagne di scuola della ragazza.
Lillo diventò in questo periodo molto geloso, tanto che non gradiva che anche io e Enzo entrassimo a far parte della compagnia: forse perché interessato alla ragazza. Ma siccome anche noi, come loro, facevamo parte sia della Schola cantorum della parrocchia, che del gruppo “Cenacolo del Vangelo” creato e seguito da mio zio don Gerland
o Lentini, non potevamo fare a meno di vederci tutti.
Così riuscii a rompere lo zoccolo duro creato da Lillo. Io ero innamorato veramente di Enrichetta tanto che le feci la dichiarazione ed ebbi risposta positiva. Così gli eventi precipitarono talmente veloci che solo dopo pochi mesi Lillo fu costretto a non frequentare più la casa dell’arciprete, per ovvi motivi.
Da allora ci perdemmo di vista. Lui si fece la sua strada diventando un libero professionista (Geometra), si affermò nel lavoro con un successo inaspettato da molti colleghi. Aprì uno studio attrezzandosi mano a mano di tutti gli strumenti all’avanguardia, compreso il computer, tanto che la sua opera veniva richiesta anche da ingegneri ed architetti.
Nel 1978 faceva il batterista nel complesso Salmeri cui facevano parte Nino Corsentino (Cantante), Ambrogio Salmeri (Sax), Vincenzo Pace (Chitarra basso), Tonino Maniscalco (Tastiera), Paolo Tortorici (Chitarra).
Il 23.4.1986 moriva il padre di Lillo, Filippo Miliano, che era nato il 12.7.1923. 
Da altre fonti ho saputo che era entrato a far parte dell’associazione de “I ragazzi del Lago” di Leo Amici che aveva la sede a Ribera nella casa di campagna di Relo Vella i quali, oltre a organizzare spettacoli musicali, curavano il recupero di tossicodipendenti. Per gli spettacoli Lillo curava l’aspetto organizzativo, le luci e suonava nel complesso la batteria, suo strumento prediletto. 
Abbiamo fatto una rimpatriata molti anni dopo (ho visto così che era andato dal dentista a farsi mettere l’incisivo mancante) probabilmente intorno agli anni ’90 perché ho avuto bisogno della sua opera di geometra per il rilevo della mia terra. In quella occasione abbiamo un po parlato dei tempi passati, ma nulla di più.
Ho saputo pure che è stato fautore di una conversione di un protestante. Notizia appresa da un libro di mio zio don Gerlando Lentini dal titolo “Perché cattolici”, dove, nella seconda edizione, c’è la testimonianza dell’interessato, diventato poi prete, don Massimo Musso: “La fase ricostruttiva della mia fede e della mia vita ha avuto inizio in una data precisa: il 17 settembre 1991. Quel giorno, un mio carissimo amico, Lillo Miliano, al quale devo eterna riconoscenza, ispirato certamente da Maria, della quale era filialmente devoto, vedendomi in tale stato di crisi, mi regalò un libro: PERCHÉ CATTOLICI, il cui sottotitolo è: Le ragioni della nostra fedeltà alla Chiesa cattolica. Autore don Gerlando Lentini. Uscito in prima edizione nel 1990, evidentemente senza questa mia testimonianza. Quest'amico, qualche anno fa, è ritornato a Dio felicemente e serenamente, ancora tanto giovane.”
Alla morte della sorella Giovanna Miliano avvenuta il 22.5.1995 (era nata l’8.1.1964) venni a sapere che i due avevano problema all’intestino, ereditato dal padre, che a lungo andare, se non operato radicalmente, poteva trasformarsi in tumore.
Con Enrica siamo andati al funerale e poi siamo andati a trovare Lillo a casa che ci sembrò molto provato e prostrato (non sapevamo ancora della loro tara ereditaria) e pensavamo fosse per il dolore della morte prematura della sorella. Invece di lì a poco anche lui si aggravò, ma era già stato male per questo lo avevamo trovato in quel modo, e venne ricoverato all’ospedale di Ribera. Lì la madre aveva creato un muro con l’esterno: non lo faceva visitare da nessuno. Forse una volta sola riuscii ad entrare nella stanza, ma per pochi istanti.
Sette mesi esatti dopo la morte della sorella anche lui ci lasciava il 21 dicembre 1995.











Appunti lasciati dopo la pubblicazione della foto su Facebook da amici e conoscenti

Salvatore Graceffo: Il ricordo di Lillo è per me indelebile. Era un caro amico........

Ignazio Sabella: Non sapevo della sua morte! Mi dispiace.

Francesca Di Giorgi: Lillo è stato un amico speciale non si dimentica.

Aurelio Bonafede: Lu vecchiu Lillu...che piacere rivederlo... hai foto della sorella?

Anna Spinelli: Me lo ricordo benissimo. Era un bravo e caro ragazzo!!!!

Maria Manetta: Lo ricordo come un ragazzo simpatico, gentile, cordiale, riservato e sono molto contenta di averlo conosciuto veramente una bella persona.... ciao Lillo

Ciro Palmeri: Ho un bellissimo ricordo di Lillo Miliano ... ciao Lillo.