lunedì 6 gennaio 2014

Henry Swinburne a Ribera
di Raimondo Lentini

Henry Swinburne, Efq. by Travel in the two Sicilies, the year 1777, 78, 79 and 1780 - The second edition - Vol. III - London printed by J. Nichols for T. Cadell, and P. Elmsly, in the (Or)strand (?) - MDCCXC (Biblioteca Storia Patria - Palermo - Fondo Pitré)

Henry Swinburne nacque in Inghilterra, nella città di Bristol, l’8 luglio 1743, da una nobile famiglia di religione cattolica. Studiò a Parigi, Bordeaux, e presso l’Accademia Reale di Torino, dove si dedicò agli studi della letteratura e dell’arte, acquisendo una buona padronanza della lingua italiana. Viaggiò molto per l’Europa, ma soprattutto famosi sono i suoi viaggi in Spagna e nel Regno delle Due Sicilie, che descrisse in due opere che hanno avuto molta fortuna: Travels through Spain, 1775 and 1776, pubblicata in Inghilterra nel 1779, e Travels in the two Sicilies, edito a Londra, la prima volta, nel 1783. La sua passione per i viaggi e per i luoghi esotici lo spinse fino a Trinidad, nelle Antille, dove si era recato con l’incarico di vendue-master, e ivi morì nel 1803 per un colpo di sole, all’età di sessant’anni, lasciando ben dieci figli. - See more at: http://www.viaggioincalabria.it/luogo/provincia-di-reggio-calabria/gerace/di-sera-mi-accodai-alla-folla/#sthash.8ECJUByE.dpuf
È opinione comune che la nostra isola nei secoli passati sia vissuta in completo isolamento dal resto dell'Europa, ma la cosa al dire dello storico Santi Correnti (La Sicilia del Settecento) non corrisponde al vero. Per quanto riguarda, ad esempio, il "turismo" l'Italia e la Sicilia ebbero tra il 600 e l'800 molti visitatori illustri che spesso narravano in diari, appunti e spesso in libri, i loro avventurosi viaggi e descrivevano gli ambienti, le città, i monumenti, le chiese, gli usi e i costumi dei popoli e dei centri che visitavano. come non ricordare tra questi ricordiamo gli inglesi: John Dryden (1701), Georges Berkeley (1713), Richard Rawlinson (1724), John Brewal (1725), Thomas Hobwart (1730), William Hemilton (1769), Patrick Brydone (1770), Charles Henry Swinburne (1777), Richard Payne Knight (1777), Brian Hill (1791), Ellis Cornelia Knight (1799); tra i tedeschi ricordiamo: Giorgio Walter (1624 e 1630), Giuseppe Hermann von Riedesel (1740-1785), G. G. Winkelmann (1767) ed il più noto Wolfgang Goethe (1787); nonché un notevole numero di viaggiatori francesi, africani, del nord Europa ed italiani. Spesso questi si fermavano nei grossi centri, ma altre volte toccavano anche i paesi più piccoli, ma non meno noti, come Sciacca, Licata, ecc.. Ribera non rientrava certo fra gli itinerari "turistici" dell'epoca dal momento che non era nota e importante in nessun modo (tra l'altro ancora non era la patria di Francesco Crispi), infatti possiamo dire che non venne mai visitata appositamente da questi noti e meno noti turisti, quindi non è stata descritta nei suoi usi e costumi da nessuno, nemmeno dai riberesi stessi dei secoli passati.
Per un fortuito caso il destino volle, comunque, che un viaggiatore inglese sopra citato, Henry Charles Swinburne, mentre stava per andare da Sciacca ad Agrigento, a causa di un temporale improvviso il fiume Magazzolo si ingrossava pericolosamente, quindi il buon senso suggeriva di alloggiare nel centro più vicino. Era il gennaio dell'anno 1778 e la comitiva composta dallo stesso, da due servitori, un mulattiere e un soldato appartenente al corpo del Real Capitan come scorta, decideva di fermarsi a Ribera. Egli, nelle sue tappe, alloggiava quasi sempre in case private.
Lo Swinburne descriveva tutto il viaggio fatto in quegli anni in un'opera in quattro volumi pubblicata nel 1790 in seconda edizione dal titolo "Travel in the two Sicilies, the year 1777, 78, 79 and 1780", di cui ha parlato anche il prof. Giovanni Farina nel suo unico volume pubblicato nel 1979 "Ribera e il suo territorio", non citando, comunque, la fonte bibliografica, ma riportando soltanto la notizia e la traduzione di alcuni passi che riguardano Ribera e siccome lo Swinburne non riferisce il nome della famiglia che lo ha ospitato, anche il Farina non si preoccupa di ricercarlo.
Noi, dopo aver fatto le relative ricerche, siamo riusciti a trovare il titolo dell'opera, nonché la medesima presso la biblioteca della Storia Patria di Palermo ed anche la famiglia ospitante.
Lo Swinburne così descrive Ribera nel capitolo del terzo volume intitolato "Journey to Girgenti" e nella sezione 37ª dal titolo "Ribera - Language of Sicily" (la sezione 35ª e 36ª è dedicata a Sciacca) e a pag. 393 e seguenti:
«Dopo aver cavalcato dieci miglia, io salii su una collina coperta di viti, verso Ribera, un grande villaggio o borgo di 3800 case costruite regolarmente, ma in modo misero, soltanto quelle dei ricchi avevano il primo piano, mentre quelle dei poveri avevano solo il piano terreno. Questa maniera di costruire sembra essere stata adottata per prevenire gli effetti letali dei terremoti.
Il centro fu fondato nell'anno 1633 da Luigi Moncada principe di Paternò, che gli diede il nome della famiglia della seconda moglie, figlia del Duca di Alcalà.
Fui ricevuto e alloggiato nella casa di una anziana baronessa vedova (Luisa Cuffaro vedova del barone Girolamo Turano Campello originaria da Cammarata e morta a Ribera il 6/12/1779) che viveva col figlio e la nuora (il barone Serafino Turano Campello sposato a Bivona l'11/9/1773 con la baronessa Benedetta Napoli e Savatteri e morto il 28/11/1778 a Ribera), la quale prestò molta attenzione alla lettera che avevo portato dai loro amici di Sciacca.»
Questo è ciò che tralascia di dire il Farina, che inizia riferendo quanto segue:
«La stanza in cui cenammo era una comune camera, ma il cibo fu abbondante e buono. Sul principio le cerimonie dominarono la riunione in modo imbarazzante: nessuno della compagnia voleva assaggiare niente, se prima io non servivo loro e me stesso, con le mie mani. Non ero al corrente di questa costumanza: ritengo che sia fondata sull'idea che tutto nella casa sia stato donato all'ospite e gli appartenga, e che pertanto e da lui che si deve ricevere ogni cosa… («Non appena scoprii la ragione della loro astinenza, io cercai di rimediare alla mia ignoranza servendo ogni persona con prontezza ed abbondanza, le signore accettarono qualsiasi cosa fosse offerto, ma avendo consumato il loro pasto serale prima del mio arrivo, lo lasciarono sui loro piatti non toccato.» Questo periodo era stato omesso dal Farina.) In breve tempo diventammo più socievoli e la conversazione cominciò a svolgersi familiarmente.
Nella loro maniera e in dialetto (strano), mi fecero molte dichiarazioni di sincero benvenuto e di soddisfazione per la mia visita alla loro città, risposero a tutte le mie domande con molta franchezza e buon senso, e mi intrattennero con molti curiosi aneddoti sui famosi banditi che qualche anno fa infestavano questa parte della Sicilia.
Il maggiore fu Testalonga di Pietraperzia (nel testo originale: Testagrossa di Butera), che con ventiquattro compagni impose taglie all'intera contrada: era un gruppo di miscredenti sanguinari che perpetrarono orribili barbarie sui disgraziati incorsi nella loro inimicizia che cadevano nelle loro mani. A costoro si erano poi unite due altre compagnie di ladri, molestando così l'intero territorio.
Il principe di Butera che aveva deliberato di annientare questi gruppi di malviventi, prese finalmente misure così efficaci che tutta la banda fu presa e messa a morte con le più atroci torture che fosse possibile escogitare.»
Dopo ciò lo Swinburne, notando la difficoltà avuta per comprendere il dialetto locale, fa una dissertazione sulla lingua siciliana dicendo tra l'altro:
«Ciò richiese uno sforzo notevole di attenzione per seguire il filo di questi racconti. quando il giovane uomo parlava (il barone Serafino Turano Campello) io capivo abbastanza facilmente il significato del discorso, mentre le donne parlavano con molta più durezza e rapidità e il loro linguaggio e pronunzia era molto più confuso e rozzo che io rimasi spesso molto perplesso. Questo dialetto è così corrotto dall'idioma toscano, ma non vicino così tanto come il volgare napoletano. La lingua più antica parlata in questa isola, della quale molte tracce sono rimaste, era il fenicio, che esiste su molte iscrizioni, ma non abbiamo nessun documento o anche idea della lingua usata dai Siculi o altri precedenti popoli della Sicilia. Il greco fu anche introdotto…»
Fin qui niente aveva meravigliato lo Swinburne, ma al momento di ritirarsi nella camera da letto fu talmente meravigliato che così riferisce:
«Per ritornare alla mia compagnia con cui trascorsi parecchie ore in una conversazione divertente, fino a quando un servo ci annunciò che era ora di ritirarsi.
Rimasi colpito quando fui portato in una magnifico stanza arredata in modo molto più ricco e splendidamente di qualsiasi altra stanza che io avevo visto fino a quel momento in Sicilia. Il pavimento era di mattonelle smaltate dipinte con le armi della famiglia, il baldacchino era dorato, i mobili tapezzati di finissimo damasco, le finestre avevano grandi vetrate veneziane e sui muri, stuccati e colorati a tempera, vi erano appesi specchi veneziani.
I miei servi erano trattati con tale liberalità che passarono metà della notte a esaltare l'ospitalità dei nostri buoni amici».
Lo Swinburne ebbe modo di conoscere anche un bambino di quasi due anni che era il figlio dei coniugi Turano e cioè il baronello Girolamo che era nato a Sciacca il 16 maggio 1776 il quale nel 1797 sposerà a Canicattì donna Giuseppa Gangitano e Grillo, e che diventerà sindaco di Ribera dal 1829 al 1834. Nel 1798 si era investo anche della baronia di Suttafari. Rivoluzionario di idee affini agli enciclopedisti francesi, nel  1799 veniva condannato a morte dal governo borbonico, ma la sentenza non veniva mai eseguita perché il Turano si nascondeva per nove anni nella cisterna del suo palazzo. Riabilitato, in seguito, partecipava attivamente alla vita sociale, politica e religiosa del paese. Moriva a Ribera il 20 novembre 1839.

(Per la traduzione dei testi dall'inglese all'italiano si ringrazia la signorina Daniela Vella)

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